La formazione esoterica di Mirò e Arp

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L’estasi mistica del poeta francese e principe lituano, Oscar Vladislas de Lubicz Milosz, maestro di Schwaller de Lubicz coi quali Mirò e Arp lavorano a Skt. Moritz. 

Il 14 dicembre 1914 Milosz ha un’estasi mistica che descrive minuziosamente nella seconda parte dell’Epître à Storge:

(IT)«Il quattordici Dicembre millenovecentoquattordici, verso le undici della sera, nel mezzo di uno stato perfetto di veglia, dopo aver recitato la mia preghiera e meditato il mio versetto quotidiano della Bibbia, ho sentito all’improvviso, senza l’ombra di una sorpresa, un cambiamento dei più inatessi prodursi in tutto il mio corpo. Constatai in primo luogo che un potere fino a quel giorno sconosciuto di innalzarmi liberamente nello spazio mi era accordato; e nell’istante seguente mi trovai vicino alla cima di una possente montagna avvolta in brume bluastre di una leggerezza e di una dolcezza indicibile. […] Allora un’immobilità perfetta, un’immobilità assoluta colpì il sole e le nuvole, procurandomi la sensazione inesprimibile di un compimento supremo, di una pace definitiva, di una stasi completa di ogni operazione mentale, di una realizzazione sovrumana dell’ultimo Ritmo. La lettera H era stata aggiunta al mio nome; provavo la pace, si, Storge, Storge! provavo, io! una santa pace, non c’era più nella mia testa nessuna traccia d’inquietudine, ne di dolore, ero sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec. Ahimé! la visione eterna e troppo breve si dissolse […]»

A partire dal 1924 a St. Moritz, in Svizzera, René Adolphe Schwaller de Lubicz (che andiamo a spiegare in seguito) dà vita alla “Stazione Scientifica Suhalia”, una piccola comunità consacrata alla ricerca scientifica e spirituale e al lavoro artigianale, ispirata in parte al Goetheanum del fondatore dell’antroposofia (Rudolf Steiner), dove svolgerà tra l’altro delle ricerche alchemiche. È in questo laboratorio che Schwaller riuscì ad ottenere i colori blu e rosso delle vetrate della cattedrale di Chartres senza ricorrere a procedimenti chimici. Mise pure a punto un motore funzionante con carburanti diversi, un nuovo modello di elica e il modello di un battello interamente basato sul numero d’oro, che avrebbe potuto resistere alle più forti tempeste. Ai lavori di Suhalia parteciparono, tra gli altri, anche gli artisti Hans Arp e Mirò.[10]

René Adolphe Schwaller de Lubicz (1887-1961)

Cinquant’anni fa, il 7 dicembre 1961, moriva un importante studioso di alchimia, esoterismo, simbologia antica e di egittologia, dalla formazione umanistica e scientifica di prim’ordine. In suo ricordo pubblico questo post.

Dall’arte alla scienza, dalla teosofia all’alchimia

Le note biografiche che state per leggere sono tratte in gran parte dall’opera Da Atlantide alla Sfinge, di Colin Wilson, e da altre fonti, di cui ho fatto un piccolo lavoro di redazione che riporto in corsivo.

Schwaller nacque in Alsazia nel 1887 da una famiglia borghese benestante. Il padre era chimico farmaceutico e René passò l’infanzia sognando nelle foreste, dipingendo e facendo esperimenti di chimica. Da sempre lo affascinarono in egual misura arte e scienza: la futura compagna di René, Isha, raccontò che all’età di 7 anni Schwaller ebbe una rivelazione sulla natura del divino e, sette anni dopo, un’altra sulla natura della materia.
Da adolescente si trasferì a Parigi per studiare pittura con Matisse, pittore influenzato dalle idee del filosofo Henri Bergson che parlava in particolare dell’incapacità dell’intelletto di cogliere la realtà che sfugge alla nostra mente “come acqua attraverso i buchi di una rete da pesca”, concezione che formò la naturale tendenza dello studioso a diffidare della “pura scienza”. Nonostante ciò si buttò a capofitto nello studio della fisica moderna, all’epoca rivoluzionata dalle teorie di Einstein e Planck.
Nel 1913 divenne membro della Società Teosofica e iniziò a tenere conferenze e scrivere articoli per la rivista della Società (Le Théosophe, diretto da Gaston Revel). Nei primi articoli rese omaggio alla scienza, fonte di ogni progresso, attaccandone nel contempo ne la natura conservatrice e nichilista. Ma Schwaller si era imposto un difficile compito: attaccare il razionalismo con pensieri razionali. Fu più o meno in quegli anni che nacque il suo interesse per l’alchimia, la scienza della trasmutazione della materia e della ricerca della pietra filosofale, che Schwaller riteneva essenzialmente una ricerca il cui fine è l’illuminazione e di cui la trasformazione dei metalli è una sorta di metafora della trasformazione interiore. Fece oggetto dei suoi studi alchimistici le vetrate e la geometria delle cattedrali gotiche convinto del fatto che struttura e proporzioni nascondessero qualche arcana conoscenza degli antichi.

Della stessa cosa sono convinto anch’io (assieme a molti altri ricercatori)!

L’incontro con Fulcanelli e la creazione dei Veglianti

Schwaller aveva una ventina d’anni quando incontrò nella Closerie des Lilas, a Montparnasse, un alchimista che si faceva chiamare Fulcanelli, ma il cui vero nome era forse Champagne. I seguaci di Fulcanelli si facevano chiamare Fratelli di Eliopoli, erano dediti allo studio delle opere degli alchimisti del XVI e XVII secolo. Da un antico volume Fulcanelli rubò uno sbiadito manoscritto di sei pagine. Spiegava che il colore è un elemento importante del segreto degli alchimisti ma Fulcanelli, il cui approccio all’alchimia era materialistico, non riuscì a capire; Schwaller lo aiutò interpretando il testo, mostrandolgi inoltre il suo manoscritto sulle cattedrali medievali, verso cui Fulcanelli manifestò grande interesse e si offrì di aiutarlo a trovare un editore. Finì che si appropriò invece della maggior parte delle idee per il proprio Mystery of Cathedrals, pubblicato nel 1925.

Nel 1914, essendo di nazionalità francese, all’entrata in guerra del suo paese venne arruolato sul fronte come portaferiti, e successivamente, per intercessione paterna, diventò parte del servizio chimico dell’esercito. 

Nel frattempo Schwaller aveva fatto amicizia con un poeta francese e principe lituano, Oscar Vladislas de Lubicz Milosz, che dopo la guerra lo nominò cavaliere per i servizi resi al popolo lituano concedendogli il diritto di aggiungere “de Lubicz” al suo nome. I due fondarono nel febbraio del 1919 l’organizzazione politica chiamata Les Veilleurs, i Veglianti, basata sulle idee elitistiche di Schwaller, diviso in due ordini, interno, di impostazione esoterica, e uno esterno.  Dopo pochi anni, stanco dei possibili coinvolgimenti politici del gruppo, possibile dinamica in cui vedeva, come la maggior parte dei mistici, una specie di trappola (posizione verso cui sono fortemente critico, come dice S. Brizzi “se non ti occuperai di politica prima o poi sarà la politica a occuparti di te”),si trasferì nel 1924 A St. Moritz, in Svizzera, dove dette vita alla “Stazione Scientifica Suhalia”, per continuare gli studi esoterici con un gruppo di amici che condividevano le sue idee, e si dedicò in particolare a studiare le vetrate, fino al 1934, quando problemi finanziari portarono allo scioglimento della comunità di Suhalia. Fulcanelli era già morto. 

L’incontro con l’Egitto

Il 4 ottobre 1927 Schwaller sposa in seconde nozze Jeanne Lamy (vedova dell’amico Georges Lamy, morto accidentalmente l’anno prima), che prenderà il nome mistico “Isha”, con il quale firmò diversi libri.  Lo aveva conosciuto quando era divenuta una sua seguace molto tempo prima, sostenendo di essere stata attratta da un legame telepatico. Ella era sempre stata affascinata dall’antico Egitto ma Schwaller non condivideva questo suo interesse.

Nel 1936 si lasciò convincere ad andare ad Alessandria per studiare la tomba di Ramses IX, nella Valle dei re a Tebe, dove ebbe una rivelazione mentre osservava una rappresentazione del Faraone sotto forma di ipotenusa di un triangolo rettangolo le cui proporzioni erano 3 -4 – 5 mentre il braccio sollevato rappresentava un’unità addizionale, denominata cubito reale (fig. 3, tratta dalla fig. 108 di Le Temple de l’homme, vedi nota [1]). Chiaramente gli Egizi conoscevano il teorema di Pitagora secoli prima della nascita del matematico greco.

Per quindici anni, fino al 1951, rimase in Egitto studiandone i templi, in particolare quello di Luxor. Ne scaturì la sua enorme opera sulla geometria in tre volumi, The Temple of Man [1], ed il suo ultimo libro, Le Roi de la Théocratie Pharaonique.

Le origini della civiltà egizia: l’ipotesi sulla Sfinge

Secondo Schwaller la civiltà egizia non sorse, come si legge nei libri di storia, nel 3000 a.C. con il leggendario Re Menes. Migliaia di anni prima l’Egitto era popolato dai superstiti di Atlantide che avevano attraversato l’allora fertile Sahara per insediarsi nella valle del Nilo. I grandi templi e le piramidi dell’Egitto sono l’eredità lasciataci da questi superstiti. Resta il fatto che Schwaller credeva di aver trovato risposta ai misteri della civiltà egizia: essa era stata fondata dai superstiti del grande continente perduto che secondo Platone, scomparve nel 9500 a.C. in seguito ad un cataclisma vulcanico.

Secondo gli storici moderni probabilmente la Sfinge risale all’epoca in cui fu edificata la seconda piramide di Giza cioè nel 2500 a.C.; si pensa che la Sfinge sia opera del Faraone Chefren, figlio o fratello di Cheope che si pensa abbia fatto costruire la Grande piramide. Questa teoria si basa sul fatto che, sulla stele tra le zampe della Sfinge, c’è un cartiglio con il nome di Chefren, si tratta tuttavia di un’ipotesi recente. Nel 1900 Sir Gaston Maspero, Direttore del Dipartimento di Antichità del Museo del Cairo, suggerì che Chefren si era limitato a riportare alla luce e restaurare la Sfinge che all’epoca era già un monumento antico.

Secondo Schwaller l’erosione della Sfinge non era stata causata da tempeste di sabbia bensì dall’acqua. Sosteneva che, poiché‚ la Sfinge è protetta ad ovest da un muro e che comunque per la maggior parte del tempo era rimasta sepolta nella sabbia fino al collo, l’ipotesi dell’erosione eolica era poco probabile. Ma in Egitto le piogge scarseggiarono per migliaia di anni, altrimenti il deserto del Sahara oggi non esisterebbe. Se la Sfinge è stata erosa dall’acqua e non dalla sabbia ovviamente deve essere molto, molto più vecchia, forse di migliaia di anni. Se così fosse, lo stesso varrebbe per la Grande piramide. Schwaller si guardò comunque dal pubblicare questa sua ipotesi.

Questa teoria fu ripresa dallo studioso Graham Hancock (sulle cui ricerche non mi dilungo), semplicemente ricordando che tutti gli elementi relativi al complesso di Giza lo convincevano del fatto che non era opera di “primitivi tecnicamente avanzati”. Egli si recò anche in Perù, a visitare e a studiare da vicino gli enormi disegni stilizzati di Nazca, in Perù, e la città inca di Machu Picchu, il lago Titicaca e Tiahuanaco ed i grandi templi aztechi dell’America Centrale. Anche in questo caso le prove facevano pensare ad una civiltà che risaliva ad un’epoca più remota di quella indicata nelle guide. Hancock era particolarmente incuriosito dalla leggenda di una o più divinità bianche che portarono la civiltà in Sud America. Questa divinità era chiamata Viracocha, altre volte Quetzalcoatl oppure Kukulkan e veniva rappresentata come un uomo dalla pelle chiara e dagli occhi blu, simile alle antiche statue egizie di Osiride. Quando tornò in Egitto la grandezza dei monumenti lo convinse definitivamente del fatto che le civiltà degli Incas e degli Aztechi risalivano a molti millenni prima rispetto alle date indicate nei libri di storia o che era esistita una civiltà sconosciuta, perduta nel passato.

L’importanza di Schwaller de Lubicz

Schwaller aveva iniziato il suo libro sui simboli (Du Symbole et de la Symbolique, Il Cairo, 1951) e sul simbolismo facendo notare che ci sono due modi per leggere gli antichi testi religiosi: quello essoterico e quello esoterico. Il metodo essoterico consiste di significati che si possono trovare in un dizionario o in un testo di storia, ma è soltanto il fondamento del significato esoterico che Schwaller definisce simbolico (un sistema di simboli).

Termino con queste parole di Schwaller:

Le scienze, la medicina, la matematica e l’astronomia degli antichi Egizi erano tutte esponenzialmente più avanzate e complesse di quanto riconoscano gli studiosi contemporanei. Tutta la civiltà egizia si basava sulla comprensione completa e precisa delle leggi universali… inoltre ogni aspetto della conoscenza egizia sembrava essere completo fin dall’inizio.(..)”

“Scienze, tecniche artistiche ed architettoniche, il sistema di scrittura geroglifica non mostrano il passaggio attraverso una fase di sviluppo, anzi le realizzazioni delle prime dinastie non furono mai sorpassate e nemmeno eguagliate. Ciò è ormai ammesso dagli egittologi conservatori, tuttavia la grandezza del mistero che ne deriva è attentamente sottovalutata mentre molte delle sue implicazioni vengono ignorate”.

A René Schwaller de Lubicz rivolgo un pensiero affettuoso anche per le numerose chiavi di lettura che mi ha dato sulla simbologia dell’antico Egitto e non solo!

Consiglio a chiunque sia interessato a comprendere il significato di ciò che vediamo sulle pareti dei templi antichi o nelle splendide tombe dei regnanti, di affrontare la lettura dei due poderosi volumi di Il Tempio dell’Uomo, come sto facendo anch’io, a capitoli, piano piano.

Intanto, per ispirarvi, provate a dare un’occhiata a questo articolo sul tempio di Luxor scritto da Viviana Vivarelli.

Alla prossima!

Nota al testo

[1] René Adolphe Schwaller de Lubicz, Il tempio dell’uomo, introduzione e note di Paolo Lucarelli (2 volumi), Edizioni Mediterranee, Roma 2000.

René Adolphe Schwaller de Lubicz

René Adolphe Schwaller de Lubicz (Strasburgo30 dicembre 1887 – Grasse7 dicembre 1961) è stato un alchimistaesoterista ed egittologo francese.

Biografia

Infanzia, adolescenza e studi

René Adolphe Schwaller era figlio di un farmacista di origine svizzera tedesca, Joseph Adolphe Schwaller, residente di Strasburgo in Alsazia (che dal 1870 era divenuta tedesca), e di Marie Bernard, di nazionalità francese.[1] Nel 1904, finiti gli studi al Liceo di Strasburgo, per evitare il servizio militare tedesco fugge in Francia e va ad abitare dalla sorella di sua madre ad Asnières, un sobborgo di Parigi. Qui ottiene dei documenti francesi che danno Asnières come suo luogo di nascita (altre fonti danno Strasburgo, dove è quasi sicuramente effettivamente nato[2]) e si laurea in ingegneria chimica all’École normale supérieure di Parigi.

Parigi, la guerra, l’esoterismo e l’alchimia

Tra il 1908 e il 1911 frequenta lo studio-accademia di Matisse ove conosce quella che nel 1910 diventerà la sua prima moglie, Marie Marthe Essig, che gli darà un figlio, Guy. Si installano in provincia, a Saint-Rémy-Les Chevreuses, nella Villa Hiéra.

Tra il 1913 e il 1916 aderisce alla Società Teosofica, per la quale terrà diverse conferenze e collaborerà con sedici articoli al giornale Le Théosophe, diretto da Gaston Revel (1880-1939), che diventerà poi organo del “Centre Apostolique”[3] col titolo di L’Affranchi.

Al momento dell’entrata in guerra della Francia nel 1914 è dapprima arruolato come portaferiti e in seguito, su raccomandazione paterna e di alcuni eminenti teosofi, nel servizio chimico dell’esercito a Sarcelles.

A partire dal 1917 Schwaller subisce l’influenza di Assan Farid Dina (1871-1928)[4], un indo-pachistano nipote del maharaja di Lahore, ingegnere, astronomoassiriologo, autore di opere filosofico-esoteriche firmate con l’acronimo AMA (“Aor Mahomet Alia”, il suo nome iniziatico)[5]. Con questo nome Schwaller firmerà uno scritto destinato ai soli “Veilleurs”, intitolato Necessité.[6]

Il 10 gennaio del 1919 l’amico poeta lituano Oscar Vladislas de Lubicz Milosz lo “adotta” con un’“investitura cavalleresca”, trasmettendogli l’anello a sigillo con lo stemma del clan Lubicz, e il diritto di portarlo con la variante “Bozawola” (Volontà di Dio). In seguito a questa “adozione” Schwaller pubblicherà i suoi scritti col nome di Schwaller de Lubicz. Il 4 ottobre 1927 Schwaller, che ha ormai preso il nome mistico di “Aor”, sposerà in seconde nozze una sua discepola, Jeanne Lamy (nata Marie Charlotte Jeanne Germain, vedova dell’amico Georges Lamy, morto accidentalmente nel 1926), in seguito autrice anche lei, col nome mistico di “Isha“, di diversi libri.[7] Ancora oggi è conosciuta con il nome di Isha Schwaller de Lubicz.

Nel febbraio del 1919, al numero 5 bis della rue Schoelcher, nel XIV Arrondissement di Parigi, in un appartamento di Georges Lamy, cominciarono ufficialmente le attività del gruppo iniziatico “Les Veilleurs” (I Veglianti),[8] un gruppo diviso in due ordini, uno esterno e uno interno, da lui fondato assieme a Milosz ed altri amici. Fra le sue molteplici attività, il gruppo esterno dei “Veilleurs” (di cui faranno parte, tra gli altri, il poeta Henri de Régnier, lo scrittore Pierre Loti, il pittore Fernand Léger, il compositore Vincent d’Indy, l’astronomo Camille Flammarion e l’ellenista Mario Meunier) salva dalla demolizione la casa di Balzac a Boulogne (inaugurata l’11 ottobre 1920 come sede del gruppo), possiede inoltre una scuola, un asilo nido, un centro agricolo, un insieme di studi artistici e di laboratori artigianali di ceramica, vetrate artistiche, arazzi e un centro di solidarietà sociale. Il circolo interno è d’impostazione esoterica, e prende il nome di Frères de l’Ordre Mystique de la Résurrection o Frères d’Elie. È composto di 12 membri, che prendono un nome mistico e portano una veste rituale di diverso colore, a seconda del loro segno zodiacale. Oltre a Milosz, che ne è il Gran Maestro (col nome iniziatico di “Pierre d’Elie”), ne fanno parte tra gli altri Schwaller (“Sophia Sephiroth d’Elie”), Gaston Revel (“Paul d’Elie”) e Carlos Larronde (“Jacques d’Elie”). La profonda amicizia tra Milosz e Schwaller si incrinerà col tempo per poi spezzarsi nel 1924, con la conversione di Milosz ad una stretta ortodossia cattolica.[9]

A partire dal 1924 a St. Moritz, in Svizzera, Schwaller dà vita alla “Stazione Scientifica Suhalia”, una piccola comunità consacrata alla ricerca scientifica e spirituale e al lavoro artigianale, ispirata in parte al Goetheanum del fondatore dell’antroposofia (Rudolf Steiner), dove svolgerà tra l’altro delle ricerche alchemiche. È in questo laboratorio che Schwaller riuscì ad ottenere i colori blu e rosso delle vetrate della cattedrale di Chartres senza ricorrere a procedimenti chimici. Mise pure a punto un motore funzionante con carburanti diversi, un nuovo modello di elica e il modello di un battello interamente basato sul numero d’oro, che avrebbe potuto resistere alle più forti tempeste. Ai lavori di Suhalia parteciparono, tra gli altri, anche gli artisti Hans Arp e Mirò.[10]

Carte da 17 a 20 del Jeu du Tarot égyptien creato da Schwaller de Lubicz a Suhalia verso il 1926-27

A Suhalia, tra il 1926-27 Schwaller inventa un Gioco di Tarocchi egiziani composto da 25 carte (originariamente in bianco e nero), in parte copiate e in parte ispirate a pitture di divinità egizie. Si suppone che contribuirono alla realizzazione di questo “gioco della vita” il pittore e musicista italiano Elmiro Celli e Lucie Lamy, figlia di Isha; ma non è da escludere la partecipazione attiva della stessa Isha, nella progettazione, essendo un’appassionata egittologa, nonché studiosa di religioni comparate (ebraismo, cristianesimo, islamismo, induismo, buddhismo e taoismo).[11]

Arcani 17 e 20 dai Tarocchi di Schwaller de Lubicz ristampati nel 2019 a cura di Giordano Berti

Nel 1931 lascia la Svizzera e si trasferisce con sua moglie Isha a Plan-de-Grasse, nel sud della Francia, in una proprietà da lui chiamata Lou Mas de Coucagno, dove continuerà le sue operazioni alchemiche con Julien Champagne (1877-1932), illustratore e forse anche autore – con lo pseudonimo di Fulcanelli – di Le mystère des cathédrales (1926) e di Les demeures philosophales (1931).

La coppia farà poi un soggiorno “meditativo” di circa due anni a Palma di Maiorca, in un vecchio monastero dove nel XIIIo secolo visse Raimondo Lullo, rinomato maestro di alchimia, apparentemente per studiarne i manoscritti, ma più probabilmente anche per delle ragioni di ordine politico.[12]

Il Mediterraneo, l’Egitto

La guerra civile che infiamma la Spagna spinge la coppia a lasciare Maiorca. Su di una goletta a due alberi acquistata ad Alessandria e battezzata “Aesios II” Schwaller imbarca la sua biblioteca e parte per una crociera nel Mediterraneo, che durerà due anni, 1938 e 1939. Fa scalo in Algeria e nel giugno del 1939 in Grecia (a Delfi, dove tiene una conferenza[13]), per finalmente arrivare in Egitto, dove si trasferisce a Luxor e si stabilisce con sua moglie e la di lei figlia Lucie Lamy al “Luxor Hôtel” dove, con l’egittologo Alexandre Varille (1909-1951), l’architetto e archeologo Clément Robichon, l’egittologo belga di origine armena Arpag Mekhitarian (1911-2004) e Alexandre Stoppelaëre, conservatore dell’area archeologica della Valle dei Re, forma un gruppo di lavoro che sarà chiamato “Gruppo di Luxor”. Al Cairo dà alle stampe le sue prime opere di egittologia. In seguito alla pubblicazione di Le temple dans l’homme (Il Cairo, 1949) si accende la Querelle des Egyptologues, un dibattito culturale che vede l’egittologia “ufficiale”, rappresentata dal canonico ed egittologo Étienne Drioton (1889-1961) e da Gustave Lefebvre (1879-1957), membro dell’Institut, già conservatore del Museo del Cairo (dal 1919 al 1928), opporsi alle tesi “simboliste” di Schwaller de Lubicz et di Varille, difese, tra gli altri, dal filosofo Maurice de Gandillac (1906-2006) e da Roland Barthes (1915-1980). La morte di Varille in un incidente automobilistico il primo novembre 1951 metterà provvisoriamente fine alla polemica[14], anche perché durante le sommosse del gennaio 1952 al Cairo tutti i libri di Schwaller de Lubicz pubblicati dalla Stamperia Schindler (Eastern Press) andarono quasi completamente distrutti.[15]

La morte

In seguito al colpo di Stato di Muhammad Naguib e di Nasser nel 1952, Schwaller de Lubicz lascia l’Egitto e ritorna a Plan-de-Grasse, dove muore nel dicembre 1961.

Suo principale contributo all’egittologia

Schwaller de Lubicz evidenziò l’influenza del sacro nell’architettura egizia e pensò di aver riscoperto un sistema di pensiero simbolico elaborato nei secoli dal potente clero egizio.[16][17]. ” Schwaller de Lubicz osservò pure che la forte erosione della grande sfinge di Giza è dovuta all’azione dell’acqua e non a quella del vento e della sabbia. Se confermato , questo fatto rivoluzionerebbe, da solo,l’intera cronologia della storia della civiltà e implicherebbe una drastica rivalutazione del presupposto di progresso, il presupposto su cui si basa tutta la cultura moderna. Sarebbe difficile trovare un’altra questione così semplice e con implicazioni più gravi. L’erosione della Sfinge sta alla storia come la convertibilità della materia in energia sta alla fisica” (John Anthony West – Serpent in the sky, Quest Books, 1993)

Note

  1. ^ Emmanuel Dufour-Kowalski: Schwaller de Lubicz: L’oeuvre au rouge, 2006
  2. ^ Emmanuel Dufour-Kowalski, La Quête alchimique de R. A. Schwaller de Lubicz: Conférences (1913-1956), Milano, 2006, p. 43.
  3. ^ Su questo gruppo fondato da Schwaller, che diventerà poi “Les Veilleurs”, vedi Alexandra Charbonnier, O. V. Milosz, le poète, le métaphysicien, le lituanien, Losanna, 1996, cap. 11, pp. 235-265.
  4. ^ (FR“Assan Farid Dina : un maharaja de Lahore aux Avenières”
  5. ^ La destinée, la mort et ses hypothèses, Alcan, Paris, réed. Slatkine, Genève.
  6. ^ Emmanuel Dufour-Kowalski, La quête alchimique de R. A. Schwaller de Lubicz: Conférences (1913-1956), Milano, 2006, p. 24, nota 26.
  7. ^ Pubblicati in Italia per la prima volta dall’Ottava edizione, fondata da Franco Battiato.
  8. ^ Il nome del gruppo, che si definiva come un’associazione fraterna per una vita migliore e una rigenerazione dell’Uomo, fu trovato da Carlos Larronde. Vedi: Emmanuel Dufour-Kowalski, La Fraternité des Veilleurs – Une société secrète au XXe siècle (1917-1921), Ed. Archè, Milano-Paris, 2017.
  9. ^
    (FR)«En mai 1938, l’année qui précède sa mort, Milosz écrit dans une lettre: “Je suis catholique: catholique pratiquant avec ferveur, poète et exégète catholique. Tout ce que nous enseigne Notre Mère la Sainte Eglise est vérité absolue”.» (IT)«Nel maggio 1938, l’anno precedente la sua morte, Milosz scrive in una lettera: “Sono cattolico: cattolico praticante con fervore, poeta e esegeta cattolico. Tutto ciò che insegna la Nostra Santa Madre Chiesa è verità assoluta”.»
    (Lettera di Milosz del maggio 1938)

    citata in: Claude-Henri Rocquet,O. V. de L. Milosz et l’Amoureuse Initiation, Bourg-la-Reine, 2009, p. 17.

  10. ^ Emmanuel Dufour-Kowalski (dossier a cura di), Schwaller de Lubicz. L’Oeuvre au rouge, Losanna, 2006, p. 69-90 e Massimo Marra, R. A. Schwaller de Lubicz. La politica, l’esoterismo, l’egittologia, Milano, 2008, “Suhalia: la terra d’Elia” p. 145-205.
  11. ^ Giordano Berti, Aaron Cheak, Ada Pavan, Il Tarocco egizio di Schwaller de Lubicz, Quarto Inferiore – Bologna, 2019, p. 5-12.
  12. ^ In Francia la vittoria del Fronte popolare porterà al governo Léon Blum, e Schwaller s’interessa alla teocrazia e alla sinarchia di Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, due modelli politici e sociali non proprio di sinistra, di cui si trova un’eco nella sua opera Le Roi de la Théocratie Pharaonique, cf.Emmanuel Dufour-Kowalski, La quête alchimique de R. A. Schwaller de Lubicz: Conférences (1913-1956), Milano, 2006, p. 93.
  13. ^ “Rêveries à propos de Delphes”, trad. it: “Su Delfi”, in: René Adolphe Schwaller de Lubicz, Insegnamenti e scritti inediti, a cura di Alessandro Boella e Antonella Galli, Roma, 2009, p. 53-69.
  14. ^
    (FR)«La mort accidentelle d’A. Varille en 1951, sur la route de Joigny, le lendemain de la présentation malheureuse de sa thèse symboliste à l’Académie des Sciences de l’Institut de France, met le feu aux poudres. Ce débat essentuiellement littéraire, émaillé de piques et de joutes verbales sans précédent dans le monde de l’égyptologie, cette “Querelle des Egyptologues” comme l’appela en son temps André rousseaux dans le Figaro littéraire, verra entrer en résistance du côté des Lubicz nombre d’écrivains, comme Jean Cocteau ou Jean Grenier; des philosophes comme Maurice de Gandillac ou Matila Ghyka.» (IT)«La morte accidentale di A. Varille nel 1951, sulla strada di Joigny, l’indomani della sfortunata presentazione della sua tesi simbolista all’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Francia, darà fuoco alle micce. Questo dibattito essenzialmente letterario, costellato di pungenti frecciate e di certami oratorî senza precedenti nel mondo dell’egittologia, questa Querelle des Egyptologues, come la chiamò allora André Rousseaux nel Figaro littéraire, vedrà schierarsi a resistenza a fianco dei Lubicz numerosi scrittori; come Jean Cocteau o Jean Grenier, dei filosofi come Maurice de Gandillac o Matila Ghika.»
    (Nota editoriale di E. D-K alle Conférences de Louxor)

    La Quête alchimique de R. A. Schwaller de Lubicz, Conférences (1913-1956), Liminaire, notices éditoriales, notes critiques par Emmanuel Dufour-Kowalski, Archè, Milano, 2006, p. 123.

  15. ^
    (FR)«C’est avec grand regret que nous devons porter à votre connaissance que durant les émeutes de samedi passé notre établissement a subi le même sort que tant d’autres et a été entièrement détruit. Tous vos ouvrages tant dans notre magasin que dans nos dépôts semblent être complètement perdus.» (IT)«È con gran rincrescimento che dobbiamo portare a vostra conoscenza il fatto che durante i moti di sabato scorso il nostro stabilimento ha subito la stessa sorte di molti altri ed è stato interamente distrutto. Tutte le vostre opere, tanto nel nostro negozio che nei nostri depositi sembrano essere completamente perdute.»
    (Lettera di R. Schindler a M. et Mme R. A. Schwaller de Lubicz del 29 gennaio 1952)

    Citata in: Schwaller de Lubicz. L’Oeuvre au rouge, dossier a cura di Emmanuel Dufour-Kowalski, Losanna, Éditions L’Âge d’Homme, 2006, p. 202, Annesso IV.

  16. ^
    (FR)«Les travaux de M.M. Varille et de Lubicz sur les temples égyptiens et leur symbolique ont mis en évidence cette corrélation étroite entre la proportion des temples égyptiens et celle du corps humain, le tout alternativement souligné ou voilé par un symbolisme subtil.» (IT)«I lavori di Varille e di de Lubicz sui templi egizî e sul loro simbolismo hanno messo in evidenza questa stretta correlazione tra la proposzione dei templi egizî e quella del corpo umano, il tutto alternativamente sottolineato o velato da un sottile simbolismo»
    (Matila Ghyka)

    Matila GhykaPhilosophie et Mystique du Nombre, Parigi, Payot, 1952, p. 23

  17. ^
    (FR)«L’ésotériste René Schwaller de Lubicz s’est penché sur le sujet. Pour lui, tout dans l’architecture du temple pharaonique est motivé par une raison symbolique, devenant didactique par l’observation d’un canon ésotérique. […] Cet auteur a découvert quelques procédés d’occultation: 1) La construction simultanée sur plusieurs axes. 2) La transparence. Si le mur était de verre on pourrait voir par exemple tracé au verso, un signe ou une figure venant remplir un vide laissé au recto. 3) Les figures des bas reliefs d’une paroi sont en rapport avec celles qui sont de l’autre côté de ce même mur.» (IT)«L’esoterista René Schwaller de Lubicz si è interessato alla cosa. Per lui nell’architettura faraonica tutto è motivato da una ragione simbolica, che diventa didattica con l’oservanza di un canone esoterico […] Questo autore ha scoperto alcuni procedimenti d’occultamento: 1) La costruzione simultanea su diversi assi. 2) La trasparenza. Se il muro fosse di vetro si potrebbe per esempio vedere tracciato sul suo retro un segno o una figura che riempiono un vuoto lasciato sul davanti. 3) Le figure dei bassorilievi di una parete sono in rapporto con quelle che si trovano dal lato opposto di questo stesso muro.»
    (Pierre A. Riffard)

    Pierre A. RiffardÉsotérismes d’ailleurs, Parigi, Robert Laffont, “Bouquins”, 2001, p. 476.

Opere

Étude sur les Nombres, Parigi, 1917 (ried. 1991)

  • Nécessité, Parigi, 1919, (ried. 1963)
  • Adam, l’homme rouge, St.Moritz, 1926 (trad. it., Roma, 2006).
  • Reedizione francese di Adam l’homme rouge, Edizione Slatkine, Ginevra 2014. Presentazione e note di Emmanuel Dufour Kowalski.
  • La Doctrine, St.Moritz, 1927 (ristampa in facsimile 1988)
  • L’Appel du feu, St.Moritz, 1927 (ristampa anastatica 2007)
  • Le Livre des Vivants, St.Moritz, 1927 (ristampa anastatica recente s. d.)
  • Prefazione a Dissertation sur une Stèle Pharaonique di Alexandre Varille, Il Cairo, 1946 (lettura della stele D. 52 del Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra, ried. Ginevra, 2004)
  • Le Temple dans l’homme, Il Cairo, 1949 (trad. it., Roma, 2003)
  • Du Symbole et de la Symbolique, Il Cairo, 1951 (trad. it. Roma, 1997)
  • Le Roi de la Théocratie Pharaonique, Parigi, 1956 (trad. it., Roma, 1994)
  • Le Temple de l’homme, Apet Sud à Louqsor, Parigi, 1957 (ried. 1977, trad. it., Roma, 2000)
  • Propos sur Esoterisme et Symbole, Parigi, 1960 (trad. it., Roma, 1997)

Sono usciti postumi:

  • “De la Mathématique pharaonique”, in: Chronique d’Egypte. Bulletin périodique de la Fondation Egyptologique reine Elisabeth, 1962, gennaio, Tomo XXXVII, No. 73, pp. 77–106.
  • Le Miracle égyptien, Parigi, 1963 (trad. it., Roma, 1994)
  • Les Temples de Karnak, Parigi, 1982 (trad. it., Roma, 2001)
  • Verbe Nature, Parigi, 1988
  • Lettres à un disciple, Parigi, 1990
  • Notes et propos inédits, vol. 1, Parigi, 2005 (trad. it., Roma, 2009)
  • Notes et propos inédits, vol. 2, Parigi, 2007

Nel 2006 è stata pubblicata una traduzione italiana di Adam, l’homme rouge (Adamo, l’uomo rosso), un libro inizialmente pubblicato a Parigi nel 1927 e che era stato poi ritirato dal commercio dallo stesso autore, a causa dell’interpretazione e dell’uso che ne erano stati fatti in certi ambienti. Nei cenacoli surrealisti, per esempio, l’opera passava di mano in mano ed era molto apprezzata: André Breton la studiava accanitamente e la considerava un contributo fondamentale alla filosofia del surrealismo.

Bibliografia

  • Alexandra Charbonnier, O. V. Milosz, le poète, le métaphysicien, le lituanien, Losanna, 1996.
  • Aaron Cheak, The Light broken through the Prisme of Life, René Schwaller de Lubicz et le Problème Hermétique du Sel. Queensland University, Australia, 2011.
  • Geneviève Dubois, Fulcanelli dévoilé, Parigi, 1992 (trad. it.: Fulcanelli svelato, Roma, 1996).
  • Emmanuel Dufour-Kowalski, La quête alchimique de R. A. Schwaller de Lubicz: Conférences (1913-1956), Milano, 2006.
  • Emmanuel Dufour-Kowalski (dossier a cura di), Schwaller de Lubicz. L’Oeuvre au rouge, Losanna, 2006.
  • Emmanuel Dufour-Kowalski, La Fraternité des Veilleurs – Une société secrète au XXe siècle (1917-1921), Ed. Archè, Milano-Paris, 2017 ISBN 9788872523469.
  • Maurice de Gandillac, Le Temple dans l’Homme et l’Homme dans le Monde, Ed. Arma Artis, 42 pp., ISBN 2-87913-053-0
  • Joscelyn Godwin, « Schwaller de Lubicz, les Veilleurs et la connexion nazie », in: Politica Hermetica, nº 5, Losanna, 1991, p. 101-108.
  • Massimo Marra, R. A. Schwaller de Lubicz. La politica, l’esoterismo, l’egittologia, Milano, 2008.
  • Arpag Mekhitarian, “A propos du Temple de l’Homme”, in: Cahiers du Sud, 1961, n. 358, pp. 327–347.
  • Erik Sablé, La vie et l’oeuvre de René Schwaller de Lubicz, Parigi, 2003.
  • Isha Schwaller de Lubicz, “Aor”, sa vie son oeuvre, Parigi, 1963.
  • André Vandenbroeck, Al-Kemi: A Memoir. Hermetic, Occult, Political and Private Aspects of R. A. Schwaller de Lubicz, New York, 1987.
  • Aaron Cheak, ‘Introduzione a Schwaller de Lubicz’, in Tarocco egizio di Schwaller de Lubicz (a cura di Giordano Berti), Quarto Inferiore – Bologna, 2019, pp. 15-33.

Collegamenti esterni

Joan Mirò e l’Impulso Creativo.

Il simbolismo della Massoneria insito in ogni fase creativa

di Valentina Morelli

Joan Mirò fa parte di quel parterre di artisti di difficile definizione data la complessità delle sue opere e la repentina maturazione che ha avuto nel corso della sua vita artistica che lo hanno portato a realizzare quadri molto diversi tra di loro, in generale è stato definito il padre di una corrente artistica denominata Surrealismo.

Nasce a Barcellona il 20 aprile del 1893 e muore a Palma de Maiorca il 25 dicembre del 1983 cominciò a disegnare all’età di 8 anni e come tutti gli artisti intorno agli anni 20 del 1900 si trasferì a Parigi dove conobbe Picasso e dove cominciò a collaborare con Max Ernst per la scenografia di Romeo e Giulietta. Ma solo nel 1954 raggiunse la completa maturazione stilistica e la celebrità quando vinse il premio per la grafica alla Biennale di Venezia e nel 1958 vinse il Premio Internazionale Guggenheim. A tutt’oggi è possibile ammirare parte delle sue opere al Peggy Guggenheim Museum di Venezia.

Di questi artisti è sempre complesso avere certezza di una loro appartenenza a logge massoniche o meno, certo è che frequentava gli stessi ambienti di Guillame Apollinaire, Jean Cocteau e delle avanguardie parigine che condividevano una certa e ben specifica cultura.
È ugualmente vero che per predisposizione gli artisti, siano essi pittori o scultori e quant’altro, hanno una tale apertura mentale da renderli idonei a recepire idee che poco si sposano con il conformismo e con il dogma.
Per definizione gli artisti condividono con i massoni questa continua ricerca di senso, e questo rapporto di osmosi tra l’interiorità del mondo delle emozioni e l’esteriorità del rapporto con gli altri. È in questa ricerca di senso che il dubbio e l’introspezione diventano il motore della loro arte, che si concretizza e manifesta in modi diversi adattati alle contingenze.

Siamo abituati a ragionare sulla Massoneria in termini quasi esclusivamente legati all’istituzione e poco in termini di insieme di concetti e valori e metodologia di pensiero, che sono quelli che hanno permesso la nascita dell’istituzione. Per questo motivo è molto facile trovare individui che pur non appartenendo all’Istituzione ne condividano in qualche modo i valori. All’apparenza i suoi quadri poco hanno a che fare con concetti massonici e poco richiamano immagini che comunemente associamo alla massoneria, ma se andiamo a studiarle facendoci aiutare dalle parole dello stesso Mirò ci accorgiamo che la nostra impressione cambia; proviamoci.

L’Impulso Creativo

Un impulso è una forza interiore che favorisce il movimento, ma è anche un desiderio che spinge chi lo prova a realizzare qualcosa.  Questi due elementi, la forza interiore ed il desiderio, sono il filo conduttore che del processo creativo di Joan Mirò, unitamente alla continua e necessaria ricerca per la liberazione totale da tutti i vincoli convenzionali. Il processo creativo di Mirò era scatenato da quella che egli stesso definiva “Tensione dello Spirito”, e che veniva a crearsi in una determinata atmosfera evocata da vari fattori o situazioni. Mirò era consapevole del proprio stato spirituale nel momento in cui creava, uno stato che potremmo definire Estatico. Era riuscito a concretizzare, o se vogliamo dirla meglio, a dare una immagine allo stato Estatico nelle sue opere, e tale stato è la pulsione che da sempre spinge l’Uomo a tendere verso il Divino. Questo tema è stato magistralmente toccato dal Filosofo Mauro Cascio in un libro dal titolo “Al Divino dall’Umano”, in cui, molto meglio di come potrei fare io adesso ripercorre le tappe di questa elevazione dello spirito.

Questa è la prima caratteristica che già ci fa amare questo artista e che ce lo fa vedere sotto una luce un po’ diversa: La creazione trasforma l’uomo e gli fa sprigionare una forza in grado di muovere l’intero universo. Questa era l’immagine che Mirò aveva dell’essere umano.

Nella sua maturazione pittorica Mirò decise di abbandonare la vivacità del colore per adottare il Nero come unico colore. Motivò questa decisione spiegando che il Nero era ritenuto da Jung il colore delle origini, dei principi cosmici, del tempo e della profondità dell’Universo.

Vorrei spiegare a chi vede i miei lavori perché essi sono così, perché ho deciso di aggrapparmi alla vita segreta delle cose, e come, a poco a poco ho eliminato tutte le realtà esteriori per giungere al Segno che è un Ideogramma. Joan Mirò

Lasciatemi per un momento compiere un azzardo; intravedo in Mirò un atteggiamento molto simile a quello degli scalpellini o dei costruttori delle grandi Cattedrali per la comune importanza attribuita al Simbolo, la creazione di un simbolo che racchiuda un significato molto ampio era la maniera più comoda e veloce per veicolare dei contenuti. Ecco anche se i contenuti veicolati da Mirò non hanno una matrice prettamente esoterica credo possa essere utile per capire la portata di altri elementi e il significato di concetti prettamente esoterici. Ci spiega in altri termini e da un altro mondo un meccanismo insito nell’essere umano e le sue opere possono essere uno strumento complementare per poter comprendere appieno concetti mutuati da un ambiente Massonico che di costellato di Simboli e Segni.

Citato nel video di Canseliet :

Schwaller de Lubicz e l’affare Fulcanelli

di Walter Catalano – 29/05/2008

Fonte: storiadellereligioni

La Natura è la forma simbolica di ciò che è fuori dalla Natura
R.A. Schwaller de Lubicz (Verbo Natura)

Il nome di René Adolphe Schwaller de Lubicz resta ancora quasi sconosciuto nel nostro paese al di fuori di ristrette cerchie di esperti. Sebbene le sue opere maggiori siano state tutte tradotte o in via di pubblicazione nella nostra lingua, la figura misteriosa e poliedrica di questo alsaziano schivo ed appartato – come un vero iniziato dovrebbe essere – non ha ancora acquisito il riconoscimento che pienamente merita nel panorama della tradizione esoterica occidentale(1bis.) In realtà il personaggio ha una rilevanza di primo piano soprattutto nell’ambito dell’alchimia e dell’egittologia “alternativa” del nostro secolo e molti controversi protagonisti di quelle segrete realtà sono parte di un mito che egli contribuì a creare. Solo un nome per tutti: Fulcanelli.

René Adolphe Schwaller nasce in Alsazia, il 7 dicembre del 1887. Dalla sconfitta francese del 1870 le province dell’Alsazia e della Lorena erano parte del Reich tedesco e René, figlio di un farmacista di Strasburgo che fin da piccolo lo iniziò allo studio della chimica, parla tedesco a scuola e francese in famiglia. Non volendo servire nell’esercito invasore, il ragazzo fugge a piedi in Francia prima del servizio militare e si rifugia da una zia ad Asnières.
Molto dotato per le arti figurative viene accolto senza difficoltà nello studio parigino di Matisse e diventa allievo del grande pittore. Si sposa con Marthe, conosciuta nell’atelier, da cui avrà un figlio Guy.
Nel 1913 entra nella Società Teosofica e vi rimane fino al 1919, scrivendo per la rivista “Il Teosofo”. Qui incontra i personaggi che in seguito verranno coinvolti nell’“affare Fulcanelli”: l’ermetista Pierre Dujols ed il pittore alchimista Jean-Julien Champagne, il futuro maestro di Eugène Canseliet.
La guerra del 1914 lo vede distaccato presso un laboratorio chimico dell’esercito dove si occupa di analisi. Al termine della guerra si dedica ai reduci cercando di facilitare il loro difficile reinserimento nella società all’insegna di un risveglio spirituale e morale: a questo scopo fonda il gruppo dei Les Veilleurs, i Veglianti, e trasforma la rivista “Il Teosofo” in “L’Affranchi”, dove inizia a firmarsi usando il nome mistico di Aor (o più esattamente Aor Mahomet Ahliah).
Il programma “rivoluzionario-conservatore” del gruppo e della rivista – ispirato alle teorie sinarchiche di Saint-Yves d’Alveydre – attira molti artisti ed intellettuali francesi, come Pierre LotiPierre Benoit, Camille Flammarion o il poeta lituano Oscar Wenceslas de Lubicz-Milosz (1877-1939), che presto diverrà l’amico più caro del futuro alchimista. In cerca di un lavoro più remunerativo di quello di pittore, Schwaller incontra, sempre all’interno del suo gruppo, l’armatore Louis Lamy e Louis Allainguillaume, direttore di una società carbonifera, e da quest’ultimo viene ingaggiato per riorganizzare la struttura finanziaria della società. In breve tempo l’impresa decuplica i suoi introiti ed il munifico Allainguillaume gli concede una percentuale fissa sugli utili che assicura al giovane una definitiva sicurezza economica. A trarre beneficio da questa sua nuova stabilità pecuniaria è anche l’amico Oscar de Lubicz-Milosz – principe di Lusazia, conte di Lahunovo, capo del “Clan de Lubicz”, della variante Bozawola (Volontà di Dio) – che vive grazie ad un assegno mensile versatogli da Schwaller e che può lottare per l’indipendenza dei tre paesi baltici – Lituania, Lettonia ed Estonia – grazie alla “Rivista Baltica”, da lui fondata e sovvenzionata.
L’attivismo di de Lubicz-Milosz ottenne presso gli Alleati il successo sperato, gli stati baltici furono liberati ed il principe-poeta divenne ministro della Lituania. Per riconoscenza verso l’amico fraterno, Milosz adottò Schwaller nel “Clan de Lubicz” e lo investì del titolo di cavaliere e delle armi dei de Lubicz Bozawola, secondo i riti dell’Antica Cavalleria e dopo una notte di digiuno e meditazione. Il 10 gennaio del 1919, R.A. Schwaller divenne Schwaller de Lubicz. I due uomini restarono per sempre legati fraternamente, anche quando i loro percorsi spirituali si volsero in direzioni opposte: il lituano non si discostò mai dal suo fervente cristianesimo, Schwaller invece si radicò sempre più nell’ermetismo egizio e pagano.

Schwaller e Milosz avevano avviato insieme il Centre Apostolique – sempre collegato ai Veglianti – che, sotto il motto di “Gerarchia, Fratellanza, Libertà”, patrocinava varie iniziative ai fini di “un risveglio evolutivo nel genere umano”. Tra quelle pubbliche si possono ricordare il salvataggio ed il recupero della Casa di Balzac ad Auteil o la fondazione di un istituto di Euritmia diretto da Jeanne Germain, moglie di Georges Lamy (che sarebbe divenuta nel 1927, dopo la sua vedovanza ed il divorzio di Schwaller da Marthe, la nuova compagna dell’esoterista: Isha Schwaller de Lubicz).
Il Centro ed il gruppo dei Veglianti si sciolsero nel 1921, forse a causa della ripulsa dei “cristiani” di Milosz per le pratiche magiche e spiritiche sempre più frequenti fra i “pagani” di Schwaller. Secondo una testimonianza Milosz, prossimo alla fine della sua vita, avrebbe implorato gli amici di non fargli mai domande sui Veglianti(1).

Dopo la fine di questa esperienza Schwaller visitò l’Africa del Nord, dove probabilmente ricevette un’iniziazione sufi. Nel 1924, risentendo dell’influenza di Rudolf Steiner, creò a St. Moritz in Svizzera, la “Stazione Scientifica Suhalia”, ispirata al Goetheanum del fondatore dell’Antroposofia.
Dedicata alla pratica dell’artigianato (legno, ferro battuto, vetro, tessitura e tappeti); allo studio della meccanica (vi furono costruiti un nuovo tipo di motore, un’elica ed un battello inaffondabile, poi brevettati); alla ricerca scientifica (chimica, fisica spettroscopica, microfotografia, astronomia); all’omeopatia (il dottor Nebel, famoso omeopata dell’epoca, considerava eccezionali le preparazioni del laboratorio); Suhalia ospitò artisti ed intellettuali rinomati come il pittore dadaista Jean Arp.
In questo periodo si concentra anche un’intensa attività pubblicistica, anche se limitata al solo ambito dei discepoli di Suhalia: Schwaller, che aveva scritto fino ad allora un solo libro nel 1917, Etude sur les Nombres, completa nel 1927, numerosi libelli ed opuscoli: L’appel du Feu; La Doctrine; Le livre des vivents, e soprattutto Adam, l’Homme Rougetesto – che André Breton ricordò come un contributo fondamentale alla filosofia del Surrealismo – ritirato dalla distribuzione dallo stesso autore poco dopo la pubblicazione. Lascerà passare più di vent’anni prima di affidare di nuovo alla carta stampata frammenti della propria conoscenza.

Dopo la crisi economica del 1929, il maestro che ormai tutti chiamavano Aor, la sua nuova moglie Isha, ed i figli di lei – Jean Lamy, in seguito dottore in ginecologia ed inventore della Fonoforesi, una variante dell’agopuntura, e Lucie Lamy, straordinaria disegnatrice – furono costretti ad abbandonare Suhalia, le cui spese di mantenimento erano ormai insostenibili, e si stabilirono a Plan de Grasse, in Provenza, dove acquistarono una proprietà. Proprio qui Aor e l’alchimista Champagne – da lui sovvenzionato per anni – portarono a compimento, nel 1930, un’importante operazione alchemica: la fabbricazione dei blu e dei rossi delle vetrate di Chartres; ma di questo parleremo in dettaglio a suo tempo, a proposito dell’“affare Fulcanelli”.

Nel 1934 la coppia si recò a Palma di Maiorca nell’antica abitazione di Raimondo Lullo per studiare gli antichi manoscritti dell’alchimista che ancora vi si conservano. Vi si trattennero fino allo scoppio della Guerra Civile spagnola nel 1936. In quello stesso anno, dopo un primo viaggio a Luxor, decisero di stabilirsi in Egitto e dal 1939 vi risiedettero ininterrottamente fino al 1952.

Mentre si riposava all’ombra di un mastaba, Isha, che aveva studiato per sei anni i geroglifici e l’egittologia classica, ricevette la rivelazione dell’interpretazione non semplicemente fonetica ma simbolica dei geroglifici. Alla luce di questa scoperta poté tradurre testi incomprensibili per gli egittologi classici. Aor, Isha e la figlia di lei, Lucie , che ricopiava magistralmente bassorilievi ed epigrafi, studiarono in dettaglio per anni il tempio di Luxor e tutti i maggiori luoghi sacri di Al Kemi, l’Egitto faraonico(2). Tutto questo materiale confluirà nelle opere più tarde di Aor: Le Temple dans l’homme (1949); Du Symbole et de la Symbolique (1951); Propos sur Esoterisme et Symbole (1960); Le Roi de la Teocratie Pharaonique (1958); Le miracle egyptien (1963); Les Temples de Karnak (postumo) e soprattutto nel monumentale Le Temple de l’homme (1957), vera e propria summa del pensiero e della sapienza che Aor aveva recuperato dalle sabbie e dai ruderi (vi si discetta di tutto: dalla geometria all’anatomia, dalla medicina alla filosofia). Isha, da parte sua, dopo aver scritto una Contribution a l’Egyptologie (1950), preferirà dedicarsi – suscitando una notevole diffidenza nel compagno – alla composizione di due romanzi iniziatici ambientati nell’antico Egitto: Her-Bak Pois Chiche (1950) e Her-Bak Disciple (1951), storia di un piccolo contadino egizio, detto Cecio, che viene scelto dai sacerdoti ed iniziato ai misteri del Tempio. In seguito scriverà anche L’ouverture du chemin (1957) e La lumiére du chemin (1960), altri romanzi-saggi che non riguardano direttamente l’Egitto, e – dopo la morte di Aor – Aor, sa vie, son oeuvre (1963), agiografia non sempre attendibile dedicata al marito, ma che comprende anche il fondamentale Verbe Nature, uno degli ultimi scritti di Aor.

Gli egittologi classici accolsero con prevedibile sufficienza gli studi della enigmatica coppia, ma non tutti: Alexandre Varille dell’ Institut Francais d’Archeologie Orientale, e l’architetto e archeologo Clement Robichon, si unirono entusiasticamente, nel corso degli anni ’40, ad Aor e Isha, collaborando con loro sul campo e pubblicando in ambito specialistico numerosi scritti in loro difesa. Scoppiò una vera e propria querelle des egyptologues fra l’archeologia ufficiale e la corrente “simbolista” capitanata da Varille ed ispirata da Aor. Purtroppo Varille morirà prematuramente in un incidente automobilistico nel 1951, ma i suoi lavori avranno il tempo di influenzare fino ad oggi un largo settore “eterodosso” di studiosi. Dal 1952 Aor ed Isha si ritirano di nuovo a Plan de Grasse conducendo una vita appartata, dedicata allo studio e alla scrittura. Il 7 dicembre del 1961 scomparirà Aor, il 24 dicembre del 1962 Isha. La figlia di Isha, Lucie Lamy, continuerà gli studi egizi dei genitori fino alla morte, avvenuta il 7 dicembre del 1984, e pubblicherà anch’essa un interessante volume Misteri Egizi (1981).

Vous ne connaissez pas Fulcanelli, l’auteur du Mystère des Cathedrales ?” Aveva chiesto Aor al suo ospite. Stavano paseggiando lungo il viale alberato di fronte alla proprietà dei de Lubicz a Plan de Grasse, l’“Allée des Philosophes”, così chiamata da Aor in ricordo della visita di Fulcanelli. L’ospite era un giovane americano di origine olandese André VandenBroeck, che si era recato dall’anziano esoterista per conoscerlo dopo aver letto un suo libro. Aor l’aveva subito riconosciuto come un suo simile: intelligente, poliglotta, versatile e soprattutto “un homme qui brule”, come lo aveva immediatamente definito. Tra il 1959 ed il 1960, Andrè divenne una sorta di confidente e “discepolo” di Aor e ce ne recherà testimonianza in un interessante volume: Al-Kemi: A Memoir. Hermetic, Occult, Political and Private Aspects of R.A. Schwaller de Lubicz(3). Purtroppo il rapporto si raffreddò presto e cessò definitivamente a causa della diffidenza politica di Andrè – di origine ebraica e di simpatie sinistrorse – per il passato pre-fascista e tendenzialmente antisemita di Schwaller nei Veglianti (Andrè cita con certo livore una Lettre aux Juifs, firmata da Aor e pubblicata insieme ad altre, Lettre aux Artistes, Lettre aux Socialistes, Lettre aux Philosophes Occultes, su Le Veilleur nel 1919).

“Era…un tipico gentiluomo della borghesia francese…- così VandenBroeck descrive Aor – con tutte le qualità accattivanti di quella condizione e con almeno qualcuna delle sue sconvenienze… Ed era un uomo di destra… La vera destra è monarchica e teocratica; vuole l’autorità, preferibilmente di diritto divino, crede nelle elites… Una concezione che potrebbe avere molti punti in suo favore se non fosse per la sua propensione alla demagogia, con il fascismo come estrema efflorescenza…”.
Questo è invece il ritratto di Isha, che Andrè incontra per prima: “Con i suoi lisci capelli neri, la carnagione olivastra e gli occhi sporgenti, portava con sé un evidente tocco di Medio Oriente. Indossava abiti bianchi fluenti, pesanti orecchini, anelli e collane e aveva un’aria da indovina zingara”. “Le devo precisare che nessuno lavora con mio marito eccetto io. Sono il suo unico discepolo” – così lo accoglie la donna. Ma in breve il giovane riesce a rompere il ghiaccio ed è quasi conteso all’interno della coppia: “Isha stessa mi diede i dettagli dell’esperienza quasi mistica a cui questa conoscenza era legata – si allude alla comprensione simbolica dell’alfabeto geroglifico – Le giunse in due fasi, in due giorni di Natale a distanza di un anno; vi si riferiva come a “Le Plan des Anciens”. Questo piano, mappa, schema o modello (non sono mai riuscito a far precisare ad Isha la forma… della rivelazione) offriva, fra le altre cose, la possibilità di collocare un certo numero di geroglifici in un ordine che avesse senso, creando così un alfabeto naturale…Ma la questione era uno dei segreti ben guardati di Isha, segreti che presto riconobbi come la classica carota sul bastone…”. Andrè, che simpatizza decisamente più con Aor che con sua moglie, passa presto sotto la giurisdizione del capofamiglia lasciando Isha orfana dell’auspicato discepolo.

Eccoli passeggiare lungo il “Viale dei Filosofi”, con loro, l’ombra di Fulcanelli. “Mi ci è voluto molto tempo per trovare il linguaggio adatto a quel che dovevo dire – confessa Aor – e solo con l’Egitto Faraonico ho trovato la mia cifra, la mia simbolica. Una simbolica deve mostrarsi, non si può inventare e non può essere convenzionale, come il linguaggio artificiale della logica simbolica. Si sarebbe potuta “inventare” la rivelazione cristica ? Niente affatto. Doveva fiorire sulla base del mito perenne, come simbolica, per poi a suo tempo fornire la sua cifra a pochi grandi autori, come fece nel Medio Evo. Avrei utilizzato una simbolica cristica per dire certe cose, se Fulcanelli non mi avesse rubato l’idea”….”Eppure mi hanno fatto un favore; mi hanno impedito di identificare la mia opera con il simbolismo delle cattedrali, mantenendomi così disponibile per l’Egitto, per Al-Kemi, invece che per l’alchimia. E’ la stessa opera, naturalmente… ma quel che ci riguarda adesso non è una rinascita, è una resurrezione”.

Aor racconterà poi in modo frammentario ma esplicito i suoi rapporti con Fulcanelli. In linea di massima, il quadro delineato coincide con quello descritto da Geneviève Dubois nel suo accurato studio Fulcanelli dévoilé (1992)(4). Cercheremo di riassumerne i tratti salienti seguendo i due testi.

Il personaggio mitico dell’inconoscibile alchimista si rivela per la prima volta alla conoscenza del pubblico non specialistico con il libro di Louis Pauwels e Jacques Bergier Il mattino dei maghi (1960), nell’ambiente esoterico è già noto invece da molti anni per due opere fondamentali, anche se forse più citate che lette: Le Mystère des Cathédrales (1926) e Les Demeures Philosophales (1930).
In realtà, come riveleranno ufficiosamente i due studiosi francesi, Fulcanelli non sarebbe stato altri che Schwaller de Lubicz stesso. Per Eugène Canseliet invece, grande divulgatore dell’alchimia e massimo propagatore e “vergine vestale” del mito di Fulcanelli, il misterioso alchimista “E’ stato inviato dalla Fratellanza Bianca per agevolare l’evoluzione dell’umanità. E’ un vero Rosa-Croce…un maestro dai poteri straordinari”. Canseliet fu allievo di Jean-Julien Champagne fin dalla tenera età di 16 anni; Champagne intrattenne relazioni assai riservate e assai strette con Aor: nel libro di VandenBroeck, quando Aor parla di Fulcanelli intende sempre Champagne, ma, per non infrangere un giuramento, non nomina mai questo strano personaggio. Precisa Aor: “Fulcanelli deve essere inteso come il nome generico di un molteplice sforzo che si è protratto per quasi mezzo secolo”…. Si ricordi, quando dico Fulcanelli, intendo quell’intero gruppo di letterati e “soffiatori”(5): Canseliet, Dujols, Champagne, Boucher, Sauvage; tutti hanno contribuito a dar forma alla produzione di Fulcanelli, una volta diffuse le mie idee fra di loro. La mia ricerca sulle cattedrali come veicolo….E poi un po’ di lustro intorno, la fantastica erudizione, molta della quale risale a Dujols, un po’ a Canseliet; si aggiunga il lavoro grafico di Champagne, ed ecco pronto un libro vendibile. Ci hanno costruito sopra una carriera, ma nel processo, hanno mancato il momento, hanno mancato la Parola…”.

Aor allude alla cosiddetta Confraternita di Heliopolis(6), composta dai personaggi da lui citati, ma nelle sue conversazioni con VandenBroeck parla anche di Fulcanelli come di una singola persona, una persona in carne ed ossa. In questo caso, il riferimento è sempre al solo Champagne.

Il pittore Jean-Julien Champagne incontrò il giovane che sarebbe divenuto Aor nel 1913, aveva circa dieci anni più di lui, e, sebbene mai ci sia stata una vera affinità e simpatia umana fra loro, per motivi di reciproca utilità, iniziò da allora una segreta e intensa collaborazione fra i due. Champagne era un uomo strano ma pieno di talento e di contraddizioni: allievo degli alchimisti Léon Gérome e Félix Gaboriau, maestro di Canseliet, ammiratore di Nicolas Flamel e Basilio Valentino, fortissimo bevitore, amico intimo dei romanzieri Raymond Roussel e Anatole France, disegnatore industriale e inventore pazzoide (una slitta polare con elica a propulsione), acerrimo nemico dell’occultismo ma in realtà assiduo frequentatore del Grand Lunaire – aveva falsificato la carta di identità del padre appropriandosene per farsi credere assai più vecchio di quanto mostrasse il suo aspetto; inoltre aborriva l’elettricità preferendo le lampade a petrolio e amava vestirsi nello stile del secolo precedente.

“Lo incontrai in modo molto naturale – testimonia Aor – poiché frequentavamo lo stesso caffè, la Closerie des Lilas a Montparnasse… Allora studiavo anche il simbolismo delle cattedrali gotiche…erano un’altra espressione della simbolica. Testi alchemici scolpiti nella pietra, proprio come ne avrei trovati, molti anni dopo, in Egitto….Parlando con lui capii che non era un dilettante ordinario, né un “soffiatore”, né certamente un ciarlatano. Sapeva quel che faceva da un punto di vista pratico…. Ma c’erano aspetti che non comprendeva, aspetti teoretici, quello che chiamo dottrina. Era stato influenzato molto nei suoi primi studi dalla filosofia scientifica araba, in particolare Jabir. Lei ne ha letto qualcosa e sa quanto possano essere materialistici. Ma quella era la sua linea e quello era il contrasto fra di noi, ed anche la nostra complementarietà. Aveva creato una tecnica del gesto appropriato necessario all’opera, invece di lasciare che questo fosse ispirato per via divina. Ma che tecnica! Un manipolatore incredibile !…”.

Champagne, lavorando per una libreria antiquaria, si era appropriato di un testo manoscritto del 1830 che dava precise istruzioni per la fabbricazione alchemica dei famosi colori blu e rossi utilizzati per le vetrate della cattedrale di Chartres, “colori reali che nessun prodotto chimico può produrre…vetri tinti nella loro massa dallo spirito volatile dei metalli”. Da solo non riusciva a ricavare molto dal libretto e propose al futuro egittologo di aiutarlo: fu stipulato una sorta di contratto, Aor avrebbe chiarito la teoria e versato una somma mensile a Champagne e questi avrebbe condotto gli esperimenti in laboratorio. A prescindere dalla riuscita o dal fallimento, una volta terminata l’operazione, ognuno sarebbe andato per la sua strada. Il loro rapporto inoltre avrebbe dovuto restare assolutamente segreto, pena la morte di chi avesse infranto il giuramento.

Per tutto il periodo della guerra, insieme o singolarmente, i due proseguirono il loro lavoro. Nel frattempo Aor aveva mostrato al compagno gli appunti del suo studio sulle cattedrali gotiche e il simbolismo alchemico. Champagne promise di interessarsi per trovare un editore disposto alla pubblicazione del testo, ma lo restituì rapidamente all’autore spiegando che vi si rivelavano troppi segreti e che non era il caso di renderlo pubblico. Aor condivise il parere del collega e partì per la Svizzera dove stava per avviare il progetto Suhalia. Il 15 giugno 1926 usciva Il Mistero delle Cattedrali e Aor aveva la brutta sorpresa di scoprire che sotto il nome misterioso di Fulcanelli era stato pubblicato il suo lavoro (con aggiunte ed interpolazioni estratte dall’immenso archivio dell’erudito Pierre Dujols(7) e disegni di Champagne). Incredibilmente Aor non serbò rancore al plagiario, continuò a versargli la mensilità pattuita e mantenne inalterate le condizioni dell’accordo.

“Nel caso di Fulcanelli – commenta Aor a VandenBroeck – quello che fu pubblicato è irreparabilmente frammentario, pieno di oscurità non necessarie e senz’altro di nessuna utilità per un adepto che pratichi con serietà, ma fornisce molte munizioni ai soffiatori con le sue frasi accattivanti. Non rappresenta una simbolica perché non è la voce del proprio tempo….Quanto a Fulcanelli, rappresentava un caso tutt’altro che raro nelle arti, ermetiche o di qualsiasi altro genere, il caso di un meraviglioso tecnico senza un’oncia di visione filosofica. Molto colto, con molte letture alle spalle, erano tutti così, ma senza dottrina, senza visione. Poiché all’epoca era del tutto privo di mezzi, l’ho finanziato, gli ho dato l’opportunità di installare un piccolo laboratorio e l’ho provvisto di uno stipendio mensile bastevole per vivere e continuare il lavoro. E ho mantenuto tutto questo fino alla fine, ho continuato finché non venimmo qui insieme, a Mas-de-Coucagno, per l’esperimento cruciale. Dopo quello, l’ho visto solo un’altra volta, non molto tempo dopo, sul suo letto di morte, in una soffitta a Montmartre”.

Lungo il “Viale dei Filosofi”, intorno al 1930, Aor e Fulcanelli/Champagne passeggiano e discutono le ultime fasi della loro opera: l’alchimista si è temporaneamente stabilito dal suo finanziatore. Aor, durante la convivenza, traccia con inchiostro rosso un ritratto straordinariamente intenso del compagno; la figliastra Lucie Lamy ne delinea invece uno assai diverso a parole: un uomo sgradevole che si comportava in modo odioso e beveva troppo.

Finalmente in quei giorni, dopo diciannove anni di prove, l’esperimento ha successo. “Il fuoco non si estingue se non quando l’Opera è compiuta e quando tutta la massa tintoria impregna il vetro il quale, di decantazione in decantazione, resta assolutamente saturo e diviene luminoso come il sole…”. Raggiunto il successo, secondo il patto, cessano le contribuzioni e le relazioni fra i due. Champagne torna a Parigi, Aor lo saluta intuendo un bagliore sinistro nello sguardo del compagno: “la sindrome dell’apprendista stregone” – secondo VandenBroeck.

Meno di un anno dopo, contravvenendo alle regole stabilite, Champagne scrive ad Aor chiamandolo a Parigi per urgenti comunicazioni. I due si incontrano di nuovo in un piccolo ristorante. Fulcanelli ha continuato l’opera, vuole ripetere l’esperimento, per il momento non ci è riuscito, ma è solo questione di condizioni, ambiente, dettagli. “Lo sciocco! – prosegue il racconto Aor – Parlava come un dottore delle Facultés ! Lo interruppi, rifiutando di discutere tali questioni in un luogo pubblico. Gli ricordai del nostro patto, mi alzai ed uscii.”….”Era già malato quando venne qui quell’ultima volta, zoppicava e si lamentava per dei disturbi circolatori. Ma persisteva nell’insano desiderio di fare i conti con quello che credeva di aver compreso. Gli ricordai di nuovo il suo voto di segretezza e lo avvertii che niente di buono poteva derivargli dall’infrangerlo. Fu inutile. Sei settimane dopo mi scrisse annunciandomi un incontro che aveva stabilito con un gruppo limitato di suoi adepti: avrebbe rivelato loro del nostro esperimento.” Aor corre a Parigi un giorno prima dell’appuntamento, sale nella mansarda di Fulcanelli e lo trova morente: ha una cancrena alla gamba. “Era quasi nero…e poteva parlare a stento. Si immagini, non poteva più parlare ! Ci guardammo a lungo, poi scosse la testa. Credo che avesse capito. Mi indicò una pila di carte sulla scrivania e volle che le guardassi. Erano le sei pagine del manoscritto che aveva rubato e sul quale avevamo lavorato, manoscritto che, ne sono convinto, ci aveva condotto entrambi a quel momento. Mi fece capire che voleva che lo tenessi io e che non ne esisteva copia. Me lo misi in tasca e me ne andai. La mattina dopo era morto”.

Il 29 agosto del 1932, tre giorni dopo il decesso, l’uomo che aveva inventato Fulcanelli fu sepolto nel cimitero di Arnouille-les-Gonesse. Sulla sua lapide, oggi scomparsa, si poteva leggere la scritta Apostolus Hermeticae Scientiae. Fu Aor a pagare le strutture tombali e la lapide.

Da allora Schwaller de Lubicz abbandonò quasi del tutto l’alchimia e le cattedrali: la grande avventura di Al-Kemi doveva cominciare, il maestro avrebbe finalmente trovato la sua simbolica ed interrotto il suo lungo silenzio producendo quelle opere maggiori per le quali lo ricordiamo. Così si era confessato a VandenBroeck in un passo denso di spunti da meditare: “Non si leggono i testi Ermetici per ottenere informazioni su procedure alchemiche, si leggono per formarsi una mentalità ed una percezione….Lungo tutta la storia del pensiero Occidentale persiste la frattura fra Pitagorici ed Aristotelici. Solo che la frattura risale ad ancora prima: Kemi contro Babilonia. La società contemporanea è l’erede di Babele. Ma proprio a fianco di questa corre la linea che inizia con i Faraoni, e la mentalità è opposta. Il fatto si rivela nel modo più chiaro nelle matematiche. Lo sa, rien ne marque tant l’esprit que les nombres. Fa una differenza fondamentale nell’intera struttura scientifica se si concepisce il due come uno più uno o come la divisione dell’uno nel due”.

Note

1bis) L’interesse per il suo pensiero sta comunque crescendo. Recentemente è stato tradotto anche in italiano Il Serpente Celeste dell’americano John Anthony West (Corbaccio, Milano, 1999) – un fortunato tentativo di divulgare e semplificare la dottrina complessa e non sempre accessibile che Schwaller de Lubicz e la moglie Isha ricavarono dai loro lunghi studi sull’Egitto Faraonico. Con qualche concessione di troppo all’inevitabile ambiente New Age, l’operazione resta comunque dignitosa anche se dubitiamo che avrebbe riscosso l’approvazione di Schwaller, esoterista chiuso e volutamente “difficile” che già tendeva a snobbare le opere narrative della compagna, ritenute eccessivamente soggettive e psicologizzanti.

1) André Lebois, Presence de Milosz dans son oeuvre, France-Asie, Marzo-Aprile 1949. Citato da Jean Rousselot, O.V. de L. Milosz, Paris, 1955.
Sarebbe poi tutta da studiare la relazione fra i Veglianti ed il gruppo magico del Grand Lunaire, che aveva il bafometto come emblema e – secondo Robert Ambelain – si occupava anche di satanismo e magia nera. Jean-Julien Champagne lo frequentò insieme a Schwaller. Per l’aneddotica, un ex membro, Jules Boucher, quando lasciò il Grand Lunaire, si fece esorcizzare dal vescovo gnostico di Lione.

2) Al-Kemi da Kemit, “la nera”, cioè la terra nera della valle del Nilo; nome da cui i Greci derivarono Khemia. Come dice Ermete Trismegisto ad Asclepio: “Forse ignori, o Asclepio, che l’Egitto è la copia del cielo, o, per meglio dire, il luogo in cui si trasferiscono e si proiettano quaggiù tutte le operazioni che governano e mettono in funzione le forze celesti. Ben di più: per dire tutta la verità, la nostra terra è il tempio del Mondo intero”. Al-Kemi è l’applicazione della Gnosi Ermetica. Come ben sintetizza Isha nella premessa a Her-Bak: “Per la saggezza egiziana, il vero principio vivente è l’Uomo, nel quale sono incarnati i Princìpi e le funzioni cosmiche, i Neter. E i templi sono le “case” in cui vengono rappresentati i simboli di questi Neter, perché l’uomo impari a riconoscere in se stesso gli elementi del grande Mondo di cui egli è il risultato e di cui rappresenta la sintesi”. In altre parole, come aggiunge Aor ne La Teocrazia Faraonica: “Noi traduciamo la direttiva teologica con il termine “religione”, ma il senso oggi attribuito a questo termine di fatto non è adeguato alla mentalità del periodo faraonico. L’antico Egitto non aveva “religione”, stando alla testimonianze scritte per più di quattromila anni: esso era interamente religione, nella sua accezione più ampia e più pura”.

3) Lindisfarne Press, New York, 1987. Di VandenBroeck ci pare giusto ricordare anche un altro volume: Philosophical Geometry, Inner Traditions International, Rochester, 1987. Testo assai complesso, di ispirazione pitagorica, che molto deve alle concezioni di Aor.

4) Geneviève Dubois, Fulcanelli: svelato l’enigma del più famoso alchimista del XX secoloMediterranee, Roma, 1996.

5) Venivano chiamati, con evidente disprezzo, “soffiatori” dai veri alchimisti, gli alchimisti materialisti ed i proto-chimici. (n.d.T.)

6) All’interno di questa ristretta cerchia si diffuse, in relazione con la figura di Fulcanelli, la leggenda alchemica del Linguaggio degli Uccelli, argot occulto basato sulla lingua greca, con il quale gli iniziati si sarebbero scambiati i loro segreti. Secondo Aor, invece, la sola cabala attualmente possibile deriverebbe dai geroglifici egizi.

7) Anche Dujols, che morirà nello stesso anno 1926, probabilmente all’oscuro del plagio perpetrato, verrà subito saccheggiato dagli altri fratelli di Heliopolis: il suo sterminato schedario sui monumenti di carattere alchemico rimesso insieme da Canseliet e Champagne, verrà pubblicato nel 1930, come seconda opera di Fulcanelli, sotto il titolo di Le Dimore Filosofali.

[Tratto dal libro: Walter Catalano, Applausi per mano sola, Clinamen 2001]

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