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Questo articolo è tratto dal sito ufficiale della Società Teosofica Italiana all’indirizzo pubblico a pagina 16 della Rivista Italiana di Teosofia
Astrazione, spiritualità e Teosofia
Dalla fine dell’Ottocento, in Europa, alcune rilevanti novità conducono molti artisti a evolvere il loro linguaggio dal Simbolismo verso l’Astrattismo. Sono in particolare Konstantinas Čiurlionis, Hilma af Klint e Marianne von Werefkin, considerati a tutti gli effetti come proto-astrattisti, ad alimentare, nel primo decennio del Novecento, la grande spinta interiore per elaborare un nuovo modo di rappresentare la propria dimensione profonda. Esiste infatti un filo conduttore preciso tra astrazione e spiritualità, che attraversa le mutazioni artistiche, sociali ed economiche dell’Europa, fino alle prime esperienze astratte del versante espressionista di Kandinskij e Klee, che affermeranno l’esistenza di un autentico astrattismo spirituale, aprendo all’ascolto dei colori e dei suoni interiori, in un’ascesa continua verso la liberazione dalla materia. Suggestioni interiori che alimentano altre identità profonde, orientate alla scoperta della propria “dimensione sottile” attraverso lo studio della Teosofia, o “Dottrina Segreta”, fondata a New York nel 1875 da Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891); “verità ultima” accessibile attraverso la pratica di un percorso iniziatico ricordando anche che, nel 1922, Piet Mondrian, iscritto alla Società Teosofica fin dal 1909, definirà il Neoplasticismo come “arte teosofica nel vero senso della parola”.
Lo studio della presenza teosofica nell’arte è un argomento di grande rilievo e di assoluta attualità, analizzato anche dalle mostre The Spiritual in Art: abstract painting 1890-1985 (svoltasi nel 1986 al Museum of Contemporary Art di Los Angeles)e Okkultismus in the Avantgarde von Munch bis Mondrian 1900-1915 (tenutasi nel 1995 alla Kunsthalle di Francoforte). Di rilevanza mondiale poi il convegno, tenutosi nel 2013 all’università di Amsterdam, dal titolo Enchanted Modernities: Teosophy and the Arts in the modern world, con la presenza di 250 studiosi e di altri 2.000 collegati in diretta streaming da tutto il mondo. Ab origine non si può tuttavia sostenere l’esistenza di un collegamento diretto tra la nascita della Teosofia e la sua successiva, rilevante diffusione all’interno delle Avanguardie, quanto piuttosto di una fascinazione degli artisti rispetto ad alcuni testi relativi alla geometria sacra e al significato esoterico di alcune forme geometriche, quali il triangolo e il cerchio, della fondatrice Helena Blavatsky, che influenzeranno in modo diretto la ricerca di Hilma af Klint (1862-1944), autentica antesignana dell’Astrattismo.
Come prevedibile, l’ampia diffusione del messaggio teosofico negli artisti dell’800 risulterà formativo anche per quelli delle generazioni successive. Rilevanti sono le figure del pittore belga Jean Delville, che influenzerà l’opera del suo discepolo Fernand Khnopff e, in seguito, anche del gruppo francese dei Nabis di Paul Sérusier, oltre a Paul Gauguin, assiduo lettore de La Dottrina Segreta di Blavatsky. Analoga diffusione avrà la Teosofia in Polonia, grazie al lituano Kazimierz Stabrowsky, fondatore della Società Teosofica polacca, che favorirà il seguito nell’allievo Konstantinas Čiurlionis, uno dei proto-astrattisti più significativi. Pur morendo nel 1911 a soli 35 anni, quest’ultimo sarà uno dei protagonisti della transizione dal Simbolismo all’Astrattismo e, secondo alcuni studiosi, influenzerà sensibilmente l’approdo astratto di Kandinskij. In Italia Gaetano Previati, riferimento per molti artisti anche di generazioni differenti come Boccioni e Dorazio, sarà il divisionista più vicino alla Teosofia e l’unico artista italiano invitato al primo Salon de la Rose+Croix a Parigi nel 1892, i cui adepti reclamano uno stato di perfezione morale e spirituale, in discendenza dall’Ordine dei Templari e del Santo Graal.
Nella Parigi d’inizio Novecento è molto attivo Edouard Schurè, membro della locale Società Teosofica, nonché autore dei saggi I grandi iniziati (1889), La Via mistica (1893) e L’Anima dei Tempi Nuovi (1909), che avranno grande influenza sul giovane Filippo Tommaso Marinetti, il quale trasmetterà questa specifica sensibilità sull’argomento soprattutto a Umberto Boccioni. Quest’ultimo, da parte sua, trarrà spunti interessanti anche dal saggio Le Forme Pensiero(1905) della teosofa Annie Besant, le cui riflessioni condividerà con l’artista Romolo Romani, primo sottoscrittore del suo primo Manifesto futurista dedicato alla pittura (1910) e che avrà un ruolo importante nella realizzazione del ciclo degli Stati d’animo (1911), come confermano nelle loro memorie i testimoni Gino Severini e Carlo Carrà. La Teosofia condurrà dal Simbolismo all’Astrattismo anche František Kupka, non solo frequentatore del pensiero teosofico ma anche medium professionista.
Il versante spirituale-sciamanico della tradizione popolare russa eserciterà poi grande influenza nella formazione di Kandinskij, che la arricchirà con frequentazioni teosofiche, presenti anche in quella di Alexej von Jawlensky e di sua moglie Marianne von Werefkin, nonché di Johannes Itten, autore del saggio L’Arte dei colori e di Paul Klee, tutti insegnanti al Bauhaus, dove avranno modo di favorirne un intenso
proselitismo. Tradizione russa che alimenterà anche Piotr DemianoviČ Ouspensky, autore di Tertium Organum, “Trattato sulla natura dell’universo”, favorendo il suo ingresso come discepolo nella comunità dell’esoterista Georges IvanoviČ Gurdjieff e influenzando Kazimir MaleviČ, suo assiduo lettore.
Rilevante è inoltre la scuola astratta canadese degli Anni Trenta, condotta dall’artista Lawren Harris, molto attivo in ambito teosofico, che nel 1930 dichiarerà: “L’arte teosofica non può che essere astratta”, bilanciando, invertendone l’assunto, quella di Mondrian del 1922.
La ricerca di Jackson Pollock, alla fine degli Anni Quaranta, con preciso riferimento alla dinamica dell’Action Painting e della tecnica pittorica del dripping nella stesura del colore, è stata spesso ricondotta a un imprecisato sciamanesimo, a una ritualità individuale improvvisata, finanche collegata al suo alcolismo, non riferendosi invece a una sua precisa frequentazione in ambito teosofico, risalente alle lezioni liceali del suo professore d’arte Frederick John de St. Vrain Schwankovsky, membro della Società Teosofica, nonché a quelle successive con l’artista-occultista John Graham, grazie al quale parteciperà al Ritiro spirituale del risveglio (a Ojai, in California) con il teosofo Jiddu Krishnamurti, teorico del cosiddetto misticismo quantico, elaborato con il fisico David Bohm.
Da questo versante il dripping di Pollock riconduce quindi facilmente ai princìpi della scrittura automatica di derivazione misticosurrealista, governata da un’interiorità profonda in stato di trance o da un contatto teosofico con l’altrove, comunque inconsapevole. Spirito-guida che sarà espressamente citato da Hilma af Klint come origine delle sue 193 Opere destinate al tempio, da considerare autentiche, consapevoli e compiute anticipazioni della novità astratta a tutt’oggi attribuita invece a Vasilij Kandinskij.
In ambito astratto, fin dalle sue origini, il ruolo dell’artista e quello del critico-veggente si sono quindi spesso sommati e sovrapposti, come dimostrano inequivocabilmente i Manifesti sulla pittura sottoscritti da Giacomo Balla (1910) e la sua formidabile Ricostruzione futurista dell’Universo (con Fortunato Depero, nel 1915); Vasilij Kandinskij e lo Spirituale nell’arte (1912), seguito da Punto, Linea, Superficie; la fervida stagione dei suprematisti e costruttivisti russi; lo scritto Arte astratta relativo alla posizione teorica di Julius Evola nel 1920; il pur discutibile saggio Kn di Carlo Belli (1935); l’infaticabile operatività degli astrattisti italiani degli Anni ’30, con la stesura dei manifesti programmatici; l’attività teorica dei gruppi internazionali Cercle et Carré (1929) che affiancherà i futuristi Russolo, Prampolini e l’architetto razionalista Alberto Sartoris a Mondrian, Kandinskij e Le Corbusier e che organizzerà la grande mostra dedicata all’Astrattismo alla Galerie 23 di Parigi, inaugurata il 18 aprile 1930. Seguirà Abstraction-Création (1931-37), che si proporrà come autentico fulcro di aggreggazione mondiale dedicato all’Astrazione, vero e proprio censimento internazionale, gratificato dalle adesioni di oltre 400 artisti provenienti da tutto il mondo e la pubblicazione di cinque numeri della rivista annuale; il seminale Manifesto del Polimaterismo di Prampolini nel 1944, anticipatorio del moderno concetto d’installazione, fino all’importante e organizzata esperienza teorica e didattica del Bauhaus.
Anche solo riferendosi all’Italia, dalla fine degli Anni ’40 si assisterà a un’autentica proliferazione di gruppi: dal MAC a Forma, da Origine a L’Age d’Or, dove gran parte degli artisti sarà artefice della propria ricerca, anche dal versante critico. Senza contare che la visione storica che abbiamo oggi dell’intero Futurismo, declinato in pittura, scultura e architettura, dipende direttamente dall’intransigente e multidisciplinare statura teorica di Umberto Boccioni, autore dei quattro manifesti specifici, relativi a pittura, scultura e architettura (due nel 1910, 1912, 1913), oltre al saggio Pittura e
scultura futuriste, pubblicato nel 1914.
La Teosofia penetra a fondo il pensiero di molti astrattisti. In particolare, le prime realizzazioni astratte di Kandinskij possono essere ricondotte anche all’uscita nel 1905 del saggioLe Forme Pensiero della teosofa Annie Besant e di Charles W. Leadbeater, pubblicato qualche anno prima e dedicato a come riconoscere gli stati d’animo riferiti al mondo sottile in cui viviamo, nonché operare la loro materializzazione, in colori, nello spazio: una sorta di vademecum teorico dal versante spirituale per la trasposizione di questa analisi interiore in pittura.
Circa le influenze teosofiche nel lavoro di Kupka, vale ricordarne anche la grande sensibilità verso le tematiche spirituali come assiduo collaboratore della rivista Sphinx, nonché lettore di Le Lotus Bleu, dove compaiono regolarmente contributi dedicati a Helena Blavatsky, i cui scritti dedicati all’India influenzano visibilmente l’artista nella realizzazione dell’opera Il primo passo, datata 1909-1913. Opere che alludono alla cosmogonia universale, dove le figure geometriche appaiono sdoppiate, sovrapponendosi alla loro aura. Così come lo era stata l’opera del 1912 Amorpha, fuga a due colori, autentico tracciato astratto-astrale, come dichiarerà sinteticamente lo stesso Kupka: “In un artista c’è la volontà di ricreare l’universo”. Analogamente, nello stesso periodo, percorrendo la medesima lunghezza d’onda, Kandinskij affermerà: “La creazione di un’opera d’arte è la creazione di un mondo”.
Quanto alla centralità la rappresentazione circolare o spiraliforme, Giacomo Balla, che avrà contatti con l’antroposofo Rudolf Steiner, realizzerà Mercurio passa davanti al sole, la cui datazione certa, riportando quanto scientificamente avvenuto, risale al 7 novembre 1914.
Nel 1914 Piet Mondrian auspica la realizzazione di un’opera che perda significato in quanto tale, per avvicinarsi alla verità della coscienza interiore. L’arte assume così un nuovo ruolo di validità universale, cosmica, accessibile a tutti, come un codice assoluto per il raggiungimento di una quiete smarrita: “Costruisco combinazioni di linee e di colori su una superficie piatta per esprimere una bellezza generale con una somma coscienza […] La Natura m’ispira […] mi mette […] in uno stato emotivo che mi provoca un’urgenza di fare qualcosa, ma voglio arrivare il più vicino possibile alla verità ed estrarre ogni cosa da essa”.
Hans Arp sarà un assiduo frequentatore dell’Abbazia di Monte Verità, centro teosofico mondiale ad Ascona, e pubblicherà nel 1911 Rune e altri scritti bizzarri dichiarando, nel suo passaggio successivo dal Dadaismo al Surrealismo, che “la legge del caso, la quale racchiude in sé tutte le leggi e resta a noi del tutto incomprensibile come la causa prima da cui origina la vita, può esser conosciuta solo con un completo abbandono all’inconscio”.
Mario Radice sarà l’artista-teorico del Gruppo Como, più vicino all’interpretazione mistica della voce di Dio sulla terra, e Franco Ciliberti, fondatore e teorico del Futurismo Primordiale,pure fervente cattolico, considererà il recupero della dimensione spirituale come primigenio nella creazione stessa dell’opera d’arte, in quanto materializzazione di una volontà divina. Kandinskij definirà la Teosofia come un “grande movimento che rappresenta un agente vigoroso nell’atmosfera spirituale e anche in questa forma può raggiungere, come un suono di liberazione, molti cuori disperati avvolti dalle tenebre e dalla notte”; e nel suo saggio Lo Spirituale nell’arte afferma: “La vita spirituale è rappresentata schematicamente in modo corretto da un grande triangolo acuto diviso in sezioni orizzontali disuguali, con la più piccola e la più aguzza rivolta verso l’alto”. Le sezioni superiori del triangolo saranno occupate da coloro che frequentano esperienze elettive, rispetto ai materialisti, agli atei e ai socialisti, ubicati invece nelle sezioni inferiori, che rappresentano l’evoluzione della vita attraverso le esperienze compiute in esistenze successive. Allo stesso modo l’interesse di Kandinskij per i poteri latenti o per le onde vitali del cosmo, teorizzate da Helena Petrovna Blavatsky, avrà un ruolo rilevante nella genesi dell’Espressionismo Astratto e una forte influenza sul gran numero di artisti del suo seguito, sia amicale sia didattico. Va ricordata inoltre la fascinazione dell’artista per il poeta e saggista Maurice Maeterlinck, premio Nobel nel 1911, dedito allo spiritismo e all’occultismo, il quale nel 1908 scriverà, nel suo ritiro definitivo in un’abbazia in Normandia, la fiaba L’uccellino azzurro, in evidente analogia con Il Cavaliere Azzurro. Kandinskij dividerà con Paul Klee sia l’esperienza de Il Cavaliere Azzurro sia la docenza al Bauhaus, che Klee svolgerà dal 1920 fino al 1931 su incarico di Walter Gropius, considerandolo “l’estrema istanza morale del Bauhaus”, acclamato come un’autentica guida spirituale anche dagli studenti per il suo comportamento introspettivo e ieratico. Sulla figura teorica dell’artista dal versante teosofico- spirituale Klee scriverà che “l’artista si compiace di pensare che la creazione attuale non deve considerarsi conclusa ed estende la funzione cosmo-creativa dal passato al futuro, attribuendo alla creazione una durata”.
Oltreché nei confronti degli artisti sopracitati, medesime considerazioni possono essere fatte anche nei confronti di Marcel Duchamp, che s’interesserà di alchimia; dei coniugi Delaunay, che rappresenteranno cromaticamente le simbologie cosmiche, e di molti altri che daranno attenzione, fino ai giorni nostri, ai princìpi teosofici e antroposofici, come Joseph Beuys o James Lee Byars.
Così come l’antroposofia sarà punto di riferimento della formazione del giovane Gillo Dorfles, co-fondatore, teorico e animatore del Movimento Arte Concreta (1948-1958), fin dal 1934, quando avrà modo di frequentare corsi antroposofici al Goetheanum di Dornach.
2.1 Hilma af Klint
Come riferimento imprescindibile allo studio delle origini dell’Astrattismo va riconosciuta la figura, poco nota, di Hilma af Klint (1862- 1944), che avrà un ruolo tanto essenziale quanto sottovalutato anche nell’ambito della Teosofia applicata all’arte. Nell’arco di oltre un secolo la quasi totalità degli artisti di ambito astratto dichiarerà come ragioni prime della propria ricerca riferimenti precisi relativi all’interiorità, all’introspezione o alla spiritualità. In quest’ambito, negli anni fondativi del Novecento, la Teosofia diventerà la dottrina di una vastissima schiera d’intellettuali, frequentatori anche dell’innovativo laboratorio dell’Abbazia di Monte Verità sul Monte Monescia, attivo fin dagl’inizi del ’900, fucina d’esperienze di collettivismo, vegetarianesimo, nudismo e libertà confessionale, che sconfineranno anche nell’esoterismo.
La sintesi perfetta tra queste componenti è ben visibile nell’opera misterica di Hilma af Klint, che a tutt’oggi, pur con l’intensa riscoperta degli ultimi anni, resta colpevolmente materia per specialisti e addetti ai lavori. La sua ricerca pittorica presenta caratteristiche del tutto particolari, ma gli esiti rispetto alla datazione delle sue opere astratte la pongono sicuramente come antesignana e prima protagonista dell’Astrattismo europeo, smorzando di molto la categoricità della primogenitura riferita fino a oggi a Kandinskij. Nello specifico, non si tratta di un confronto estendibile a Giacomo Balla, in quanto le intenzioni e gli esiti della ricerca di af Klint sono riconducibili alla radice spirituale dell’uomo e alla sua traduzione nel visibile attraverso la pittura: Hilma af Klint precorre quindi più l’Espressionismo Astratto che l’Astrazione rigorosa delle Compenetrazioni iridescenti (1912) di Balla e procede poi attraverso MaleviČ e Mondrian. Il corpus espressivo più significativo di af Klint consiste in un nucleo di 193 opere, realizzate tra il 1906 e il 1915, battezzato dall’artista Dipinti per il Tempio. Già nel 1896 essa costituisce un gruppo, The five, con altre quattro artiste, dedito alla trasposizione in pittura delle pulsioni “altre”, trasferite attraverso la scrittura automatica, governata dagli “automatismi” della propria coscienza. Questa ricerca ha contorni del tutto particolari e innovativi, anche sul versante sociale: in Svezia le donne avranno diritto di voto solo dal 1919 e, in caso di studi accademici come il suo, saranno relegate in aule differenti da quelle maschili, con programmi differenziati e limitati alla riproduzione pedissequa, priva di ogni componente creativa. Le cinque artiste del gruppo invece si dedicano già al concepimento evoluto di opere-scrittura sotto dettatura automatica dallo spirito-guida e sarà un ulteriore progresso in tal senso, dopo 10 anni di ricerca artistico-teosofica, che metterà af Klint nelle condizioni di dipingere le 193 opere Destinate al Tempio, nella realizzazione delle quali l’artista dichiara di non essere che un tramite, pilotata dall’entità spirituale Amaliel. L’artista, fin dal 1915, le immagina destinate a un luogo espositivo non meglio identificato, con struttura a cerchi concentrici di futuribile realizzazione. Appare quindi a dir poco stupefacente che la sua definitiva affermazione a livello mondiale avvenga nel 2018 con una grande mostra proprio negli spazi del Guggenheim Museum di New York, realizzato dall’architetto Frank Lloyd Wright, dedito alla Teosofia, e caratterizzati da struttura a spirale capovolta, con dichiarata valenza esoterica.
Le opere Destinate al Tempio, realizzate dal 1906, sono rigorosamente astratte, maturate dal versante spirituale e alimentate da un’interiorità assoluta, proveniente da un “altrove” che supera l’uomo stesso e le sue possibilità terrene. Nei dipinti di af Klint sono quindi già presenti tutti gli intendimenti artistico-spirituali che saranno poi propugnati da Kandinskij, ma elevati all’ennesima potenza e realizzati almeno quattro anni prima. Come in molti altri casi nella storia del Novecento, ad af Klint non venne rivolta alcuna attenzione critica e le sue opere vennero esposte in modo esauriente, prelevate dal silenzioso (e distratto) Moderna Museet di Stoccolma, solo nel 1986, per la mostra The Spriritual in Art: Abstract Painting 1890-1985 al Los Angeles County Museum of Art. Una delle giustificazioni per questo imperdonabile ritardo, sfortunatamente condiviso da molti altri artisti di assoluto rilievo, seppur meno incensati dal mercato, sta nelle dichiarazioni testamentarie della stessa af Klint, che prevedono una loro eventuale esposizione solo vent’anni dopo la sua morte, in modo che la società sia più preparata a un messaggio che l’artista reputa troppo in anticipo sui tempi. Con il suo decesso avvenuto nel 1944 la liberatoria testamentaria diventerà quindi operativa nel 1964, ma la prima mostra verrà programmata solo nel 1986, senza sollevare alcun dibattito reale tra gli studiosi, nonostante un nucleo di ben 193 opere delle 1.200 complessive, pur di grande formato, pur con un retroterra documentario altrettanto rilevante, composto da taccuini, 26.000 pagine di considerazioni, memorie, messaggi (dal futuro), un centinaio di testi e molto altro ancora.
L’opera dell’artista sarà compiutamente riproposta solo nel 2005, seppur con altre due artiste (Agnes Martin ed Emma Kunz) al Drawing Museum di New York e con l’autentica consacrazione internazionale di af Klint e del gruppo The Five alla 55ma Biennale di Venezia del 2013, curata dall’italiano Massimiliano Gioni, nel Padiglione Centrale dei Giardini. In quest’occasione grande attenzione riceverà il Libro Rossodi Carl Gustav Jung, fulcro dell’intero progetto, meno invece le tavole di Rudolf Steiner, esposte nella sala attigua, e quasi nessuna dele opere del gruppo delle svedesi. Non può che lasciar perplessi l’affermazione di Pontus Hulten, direttore del Modern Museet di Stoccolma, che si premurerà di evidenziare l’invendibilità delle opere di af Klint (del tutto pretestuosa), ritenendo il loro afflato mistico fuori del tempo, accostando così in modo discutibile gli aspetti artistico e commerciale, nonché dimenticando l’importanza dell’inattualità in moltissimi artisti rispetto al gusto diffuso nel loro tempo. Dare corpo all’invisibile, come ha fatto af Klint, non è cosa di tutti i giorni e questa autentica straordinarietà non può certo corrispondere a un’accettabilità automatica, se non opportunamente contestualizzata. La stessa identità tra vendibilità e qualità intrinseca notata dal direttore non può che lasciare del tutto perplessi. Restano invece la qualità eccelsa dell’opera, l’autenticità di una potenza spirituale tale da creare sconcerto, datazioni – dal 1906 – di assoluto interesse, grandi formati di stretta contemporaneità e soprattutto un’idea di Astrazione assoluta, che prescinde del tutto dalla rarefazione della natura, come invece sarà evidente in Mondrian.
Paradossalmente, se da un lato è in costruzione un museo appositamente realizzato per Hilma af Klint a Lidingö, un’isola vicino a Stoccolma, dopo un ricercatissimo concorso ritagliato a misura della sua ricerca, definita come la prima in ambito astratto e assegnato ad Andrea Chan, la comunità degli storici dell’arte internazionale, dopo aver per lungo tempo marginalizzato Marianne von Werefkin come semplice moglie di von Jawlensky, nulla ha ancora cogitato in merito alle stantie graduatorie riguardanti la primogenitura dell’Astrazione rispetto a Kandinskij. Trattandosi di pittura di sensazioni, fortemente interiorizzata ed emotiva, addirittura con suggestioni esoterico-futuribili, la ricerca cui assimilare la pittura di af Klint necessita di una tanto coraggiosa quanto inevitabile rimessa in discussione delle gerarchie nella ricerca aniconica degli Anni ’10, rimescolando completamente quella relativa alla primogenitura dell’Espressionismo Astratto, attribuita oggi a Kandinskij, che in questo caso dovrebbe rinunciare, dopo lo scettro relativo all’Astrazione a favore di Balla, anche a questo in favore di af Klint. Quanto a quest’ultima, una volta consacrata nel suo museo privato, ci si augura non venga catalogata dalla storiografia ufficiale – del tutto restia ad ammettere le proprie sviste, soprattutto se grossolane – in una sezione sui generis, quella dei nonclassificabili, relegata in un’isola come caso originale e in parte bizzarro, promossa come fenomeno legato al paranormale, lasciando però inalterati tutti i contrappesi storiografico-commerciali legati agli artisti del mercato di Parigi. Vicenda che anche l’Italia conosce per averla, nel suo piccolo, già fatta scontare a due artisti di ambito esoterico quali Romolo Romani e Julius Evola.
La presenza della Teosofia in ambito artistico, soprattutto legata all’Astrazione, viene confermata anche dalla saldatura tra le esperienze della dimenticata Hilla Rebay con il grande mecenate Solomon Guggenheim e il celeberrimo Frank Lloyd Wright, consacrato come il più importante architetto americano del XX secolo.
2.2 Hilla Rebay e Frank Llloyd Wright
La storia che lega Hilla Rebay a Frank Lloyd Wright è esemplificativa della profonda saldatura che esiste tra la Teosofia e l’Astrazione o, nel caso specifico, con l’arte Non-Oggettiva.
L’incontro tra i due risale al 1943: Wright è assiduo frequentatore del pensiero sia di Gurdijeff sia di Ouspensky, entrambi teosofi e spiritisti, così come dedita alla teosofia è la dimenticata Hilla Rebay (1890-1967), stretta collaboratrice del collezionista e mecenate Solomon Guggenheim e che applicherà ogni sua energia per convincerlo a edificare un museo in grado di accogliere ed esporre la sua immensa collezione. La figura della Rebay, alla luce di aspetti pur differenti tra loro, assumerà una grande rilevanza nella storia dell’arte del Novecento, nell’assoluto, inossidabile convincimento dell’affermazione di un’arte rigorosamente astratta o, per dirla come la stessa Rebay, di un’arte ancor più rigorosa, non-oggettiva: “Un dipinto non-oggettivo non rappresenta nessun oggetto conosciuto o sconosciuto sulla faccia della terra. Non è altro che un’armoniosa organizzazione di colori e forme che va apprezzata in sé, in tutta la sua armoniosa bellezza”. Affermazioni che vanno oltre Kandinskij e superano lo stesso Mondrian. Un compito arduo, avversato soprattutto da Peggy Guggenheim, che le sarà ferocemente ostile.
Un’analisi attenta della sua incredibile biografia riesce a far comprendere il suo ruolo decisivo in alcuni passaggi che si riveleranno poi cruciali nell’arte dell’intero Novecento. La Rebay, pur in modo a volte inconsapevole, ha infatti giocato partite decisive su tavoli differenti: quello di artista, animatrice, promotrice, mercante, critica, curatrice, teorica, talmente interconnessi tra loro da diventare una miscela unica e irripetibile, cementata dalla forza della sua devozione alla Teosofia.
Nel 1909 è a Parigi, dove il 20 febbraio il Futurismo di Marinetti spicca il volo dalle colonne diLe Figaro; Rebay già attinge alla fonte della Teosofia, diffusissima in Europa da decenni, ma con la Ville Lumière che ne sarà, in quegli anni, l’autentico fulcro catartico. Nel 1912 gravita attorno all’ambiente della galleria Bernheim-Jeune, dove espongono i Futuristi, in acceso contrasto con i Cubisti; il suo mentore sarà Félix Fénéon, direttore della galleria e grande sostenitore e amico di Marinetti, ma soprattutto formidabile critico-giornalista-mercante-letterato, considerato (post- mortem) da Jean Paulhan come l’unico, vero critico letterario e artistico che la Francia abbia mai avuto. La Rebay assimilerà la visionaria trasversalità che porta Fénéon a fondare, fin dal 1884, la rivista La Révue indépendante, a dirigere La Révue Blanche, a collaborare con La Vogue, Le Figaro, Le Chat Noir, Le Cravache, Le Matin, La Révue Moderniste, La Plume, Le Père Painard, Le Symboliste, dove promuove ante litteram autori come Apollinaire, Jarry, Claudel o ne approfondisce altri quali Proust, Mallarmé, Joyce, Rimbaud e Verlaine.
Grazie anche alla sua attività di mercante di quadri, la giovane Rébay godrà allo stesso tempo di una lezione impagabile dalle opere di Van Gogh, Cézanne, Gauguin e, simultaneamente, degli stimoli dell’avanguardia più innovativa del tempo, grazie alla direzione di Fénéon alla galleria Bernheim-Jeune. Il critico- mercante si professerà anarchico fin dal 1886, venendo incriminato (e prosciolto) per un at- tentato dinamitardo nel 1894. Sarà in prima linea anche rispetto alle istanze politiche e sociali del tempo: dalle colonne di Entretiens politiques et littéraires prenderà posizione a favore di Dreyfus, nello scandalo a sfondo antisemita che dividerà la Francia per un ventennio, aderendo poi all’Internazionale Comunista, dopo la Rivoluzione bolscevica del 1917. Ma Félix Fénéon non sarà solo un formidabile veicolatore d’idee innovative di altri, pubblicando dalle colonne di Le Matin oltre 1500 romanzi di 3 righe ciascuno: una per l’ambientazione, una per la cronaca, più o meno nera, dell’evento, proposta in modo ironico e dissacratorio, l’ultima dedicata all’epilogo a sorpresa, realizzando quindi microstorie geniali e precorrendo così la stessa idea di Teatro Sintetico dei Futuristi (1915): “A Dunkerque un certo Scheid ha sparato per tre volte alla moglie senza mai riuscire a colpirla. A quel punto ha rivolto l’arma verso la suocera. Centro”2.
Dopo aver attinto avidamente a questo pressoché inesauribile bacino creativo e sociale, nel 1914, allo scoppio della guerra, la Rebay si trasferisce nella neutrale Zurigo, dove entra in contatto con l’ambiente dadaista e dissacratorio del Cabaret Voltaire, legandosi affettivamente a Jean Arp, grazie al quale la sua ricerca d’artista evolve verso soluzioni non-oggettive, determinanti per il suo futuro. Nello stesso periodo conosce anche l’editore-gallerista-mercante Herwarth Walden, nella galleria del quale, Der Sturm, avrà il fatale incontro con l’artista Rudolf Bauer, che diventerà la grazia e la dannazione della sua vita. Dal 1919 è parte attiva della stagione espressionista a Berlino, partecipando col Novembergruppe alla mostra presso la galleria Der Sturm, condividendo l’esperienza con artisti del calibro di Max Ernst, Kurt Schwitters e Viking Eggeling. Fonda il gruppo Die Krater e si dedica assiduamente alle discipline orientali e teosofiche. Fino al 1927 attraversa un periodo molto difficile, con una permanenza in sanatorio. Nello stesso anno parte per gli Stati Uniti. In breve tempo, ripresa la sua ricerca pittorica, si farà riconoscere da personalità di spicco in ambienti molto selettivi, riuscendo a vendere due opere a Irene, moglie di Solomon Guggenheim, fino alla realizzazione decisiva nel 1929 di un ritratto al grande, potentissimo magnate, con il quale riuscirà anche a consolidare un rapporto strettissimo che, negli anni successivi, avrà sviluppi a dir poco sensazionali. Divenuta la fiduciaria per le acquisizioni artistiche di Guggenheim, Rebay costituirà in pochi anni, grazie ai suoi contatti europei di altissimo livello, un’enorme collezione che comprenderà opere di Kandinskij, Delaunay, Léger e Moholy Nagy, tutte rigorosamente astratte. L’intera collezione sarà conservata fino al 1939 in una grande suite dell’hotel Plaza, per poi essere trasferita – per mancanza di spazio, ma soprattutto per aumentate ambizioni – nella prima sede del Museum of non-objective painting (così chiamato in conformità al suo scritto del 1936 Definition of Non-Objective Art) che Rebay inaugurerà, in una ex concessionaria di automobili, con la mostraArt of Tomorrow. Da versanti differenti, la sua attività desterà grande attenzione a New York, anche per le accese polemiche che saranno alimentate contro di lei, immigrata, non americana, promotrice di arte pressoché esclusivamente europea, in diretta rotta di collisione con Peggy, l’ambiziosa nipote di Solomon, che nel frattempo ha aperto una galleria d’arte a Londra e che considera l’operato di Rebay come un autentico affronto familiare.
È in questi anni che si gioca anche il futuro mercantile incerto dell’esperienza dei futuristi; la Rebay infatti sfiora molte volte la loro ricerca: a Parigi, agli esordi, gravitando attorno all’attività di Fénéon – grande amico di Filippo Tommaso Marinetti – e della galleria Bernheim-Jeune, sede della mitica mostra dei futuristi del 1912 e di quella successiva del 1913, dedicata alle sculture di Boccioni. Poi sarà a Berlino, conoscendo Walden, proprietario-animatore di Der Sturm, qualche anno dopo le sue mostre dedicate ai futuristi e dopo “l’incidente” della loro rinuncia alla partecipazione all’Armory Show di New York del ’13, dove Walden avrà un ruolo negativamente decisivo. È qui che probabilmente il Futurismo si gioca gran parte del suo rilievo mondiale: Walden è inviso ai futuristi ed è a causa dei “traffici” delle loro opere (sottopagate o non pagate affatto) con il banchiere berlinese Dr. Borchardt che Marinetti non sbarca negli States nel 1913 all’Armory Show. Lecito è pensare che Walden eviti con cura di proporre a Rebay proprio coloro che gli avrebbero fatto fare una pessima figura. Egli quindi non promuoverà alcun futurista per la collezione di Guggenheim che, nei decenni, formerà generazioni di collezionisti americani.
Discorso analogo per i grandi mercanti parigini, legatissimi al Cubismo, che si sono visti attaccare nello specifico e a più riprese proprio da quei futuristi che approdano a Parigi nel 1912 e che, rivendicando un’autonomia interna mercantile, non contribuiranno in alcun modo al loro arricchimento. Fin dagli inizi dei suoi rapporti con i mercanti europei, Rebay segue il mercato più florido e diversificato, cioè quello di Parigi. Parigi è una fonte inesauribile, dove i migliori professionisti dispongono di opere provenienti da tutta Europa, incluse quelle del florido cenacolo degli esuli russi, molto attenti a riservare condizioni di assoluto favore verso un nuovo mercato che si annuncia esplosivo.
È inoltre evidente che il rapporto operativo tra Rebay e Walden s’intensifica dopo il 1936 con l’apertura della prima sede del museo, cioè negli anni in cui gli Stati Uniti entrano in guerra contro l’Italia fascista e futurista.
La Rebay, braccio operativo di Guggenheim da New York, non ha né stimoli personali particolari nel promuovere la ricerca dei futuristi, né tanto meno pressioni dall’esterno che possano provenire dai suoi referenti, sia da Berlino sia da Parigi. In quegli anni di vertiginose acquisizioni e soprattutto della nascita del meccanismo potentissimo collegato al Guggenheim Museum, primo museo di arte non-oggettiva al mondo, si realizzerà la saldatura tra il mercato storicizzato e inattaccabile di Parigi con quello futuro, ricchissimo, degli Stati Uniti: i futuristi saranno osteggiati dai primi, ignorati dai secondi e letteralmente oscurati, dal 1945 in poi, dal loro Paese d’origine. Questa sarà forse la ragione decisiva, a oggi pressoché egemonica pur se irragionevole, del mantenimento delle rendite di posizione, di Kandinskij, Delaunay e Léger soprattutto, all’interno della loro primogenitura sull’Astrazione, confermata dalla continuità mantenuta dal Guggenheim, fino ai giorni nostri, circa “il taglio” delle acquisizioni in quell’ambito. Lo provano mostre quali Hilla Rebay and Solomon R. Guggenheim, nel 2005 o The Museum of Non-Objective Painting: Hilla Rebay and the Origins of the Solomon R. Guggenheim Museum, New York, del 2009, oltre a quelle sull’Astrazione citate in precedenza.
Il periodo della guerra non sarà semplice per la Rebay, d’origine tedesca, che verrà sospettata di collusione con i nazisti e obbligata agli arresti domiciliari. Tale restrizione non le impedirà tuttavia di avere contatti con l’architetto Frank Lloyd Wright, seguace teosofo come lei, per l’ideazione dello spazio museale cui destinare l’imponente collezione. I due focalizzeranno la costruzione di un museo con struttura spiraliforme e destinato alla pittura non-oggettiva, così come già teorizzato da Hilma af Klint che essi non conoscono. Il tutto avviene non casualmente l’anno prima della sua morte. Essi diventeranno gli artefici del progetto originario collegato alla destinazione delle sue opere Destinate al Tempio, oltre ottant’anni dopo. L’idea di fondo del progetto avrà priorità legate a un contenuto di natura spirituale, in cui Wright rielaborerà un progetto (non realizzato) per la costruzione di un planetario con forti valenze simboliche, che chiamerà, non casualmente, “Taruggiz”, palindromo di Ziggurat, struttura religiosa sumerica che simboleggia il Monte Cosmico, grazie alla cui ascensione si accede alle Regioni superiori sature di forze sacre 3.
Wright non viene interpellato casualmente; è infatti sintonizzato sui princìpi generali de La Dottrina Segreta, oltre a essere l’architetto più adatto alla realizzazione di un museo dedicato alla pittura astratta, non-oggettiva, cresciuto con i princìpi pedagogici di Friedrich Fröbel, collegati all’utilizzo di sagome e cubi geometrici, dipinti con colori puri, che orientano i bambini verso la realizzazione di forme complesse, combinando tra loro tali elementi con soluzioni diverse: “I lisci triangoli di cartone e i levigati blocchetti di acero restarono impressi nella mia memoria infantile e costituirono una esperien- za indimenticabile”. Metodo che influenzerà in tal senso anche un altro giovane allievo come Johannes Itten, che veicolerà l’insegnamento verso la teorizzazione dei colori primari. Nel 1945 inizia la costruzione del museo ma, quattro anni dopo, Solomon Guggenheim muore, lasciando Rebay senza protezione alcuna, soprattutto dagli strali che le provengono da Peggy, ostile alla sua provenienza nonché avversa alla Teosofia, animata da un’inesauribile ambizione materialista, che le farà considerare la scomoda consulente del nonno come una temibile concorrente nella sua attività di mercante-gallerista.
In poco tempo Rebay viene esautorata da tutte le sue funzioni ed è costretta a dimettersi anche dalla direzione del museo, dopo una feroce campagna-stampa che la prende duramente di mira nel 1952. Nel 1959 Hilla Rebay non sarà tra gli invitati all’inaugurazione del nuovo Guggenheim Museum di New York, proditoria ingiustizia che non passerà inosservata al suo realizzatore. Frank Lloyd Wright le in- vierà infatti una lettera personale: “Cara Hilla, Mr. Guggenheim non avrebbe potuto trovare un curatore migliore e più fedele di lei. L’edificio è stato creato per lei e intorno a lei, che lei lo sappia o no. O che lui lo sappia o no”.
Note:
1. Calvesi, M., Il Cavaliere Azzurro e l’Orfismo, Fabbri Editori, Milano, 1976, p. 96.
2. Fénéon, F., Romanzi in tre righe, Adelphi, 2009.
3. Eliade, M., Trattato di storia delle religioni, Editore Boringhieri, Torino, 1976, pp. 113-114.
Roberto Floreani è un artista con alle spalle oltre 70 mostre monografiche.
Ha scritto anche importanti testi e articoli,
con una particolare attenzione al Futurismo e ai suoi massimi esponenti.
Con piacere pubblico anche questa conferenza di Floreani presso la sede della Società Teosofica di Vicenza.
Faccio cominciare il video quando parla di Monte Verità (campanilismo …) ma poi tornate all’inizio per sentire tutto !