Pessoa

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Tu, il cui sole è ombra,
Il cui cadavere è il mondo
La guida dei miei passi, colui che fa ombra
Il sentimento, ermeneo e profondo!

Presenza anonima e assente
La cui anima è il velo
Ai miei passi inconsapevoli
Date la consapevolezza che è vostra!

Così che, le epoche passate
Del tempo o dell’anima o della ragione
I miei sogni sono sfere
I miei pensieri una visione

22- 07- 1934

Questo è stato scritto dal più grande poeta portoghese del XX secolo un anno prima della sua morte prematura. Questa poesia distilla una profonda saggezza, una profonda visione dell’anima ed è, come tanti altri scritti di Fernando Pessoa, un bellissimo fiore aperto, nato nella terra di una conoscenza ermetica e teosofica. Espone, come fa Platone, l’esistenza di un Sole spirituale, il Logos, cristallizzazione radiante, somma e sintesi di tutti gli archetipi divini, fonte di ogni vita, forma e legge in natura. Logos di cui il Sole è l’ombra e il simbolo. Così come il Sole, con la sua luce ed energia, è colui che mantiene tutto il dinamismo in natura e che governa la vita del “nostro” universo, anche il Logos o Sole spirituale è l’equivalente del Dio di tutte le religioni, la causa, la fonte e l’origine di ogni movimento, di ogni struttura, di ogni numero nell’Anima della Natura, che gli alchimisti e i mistici medievali chiamavano Anima Mundi. Questo Logos è anche la fonte della luce spirituale che nutre e guida l’anima sui sentieri della vita. E, come si esprime il poeta, “la presenza anonima e assente di cui l’anima è il velo”, cioè il vero Essere di cui tutta l’anima è rivestita di luci e ombre.

Pessoa e il Sentiero del Serpente.
Pannello di piastrelle con allusioni al misticismo di Pessoa, seguendo i suoi diagrammi e le sue poesie scritte a mano. Nella stazione di Rossio.

Fernando Pessoa nacque nel 1888, lo stesso anno in cui vide la luce la colossale opera di H.P. Blavatsky, La Dottrina Segreta. Iniziò a scrivere all’età di quattro anni, ricevette un’educazione molto approfondita dalla madre e la sua conoscenza della letteratura era tale che lasciò l’università poco dopo averla frequentata, poiché indubbiamente sapeva molto più dei suoi insegnanti. Lettore insaziabile e molto erudito in materia filosofica e letteraria, diceva che i suoi grandi maestri erano Shakespeare e Walt Whitmann. Il primo è, per Pessoa, quasi divino, un Iniziato ai Misteri, una delle potenti Sfingi che hanno tracciato il futuro umano.

Eva tentata dal serpente di William Blake

Nelle note di un’opera incompiuta, il cui titolo dice già il suo carattere, “La via del serpente”, egli affermerà che “Shakespeare, da quando la Grande Fratellanza lo ha chiamato a sé senza bisogno di parlargli, è stato in grado di acquisire quella padronanza della propria anima che lo ha sollevato come araldo della saggezza, al di sopra di tutti i poeti del mondo, ed è grazie a lui che quest’uomo, che egli non inseguiva, ma con l’intima sostanza del suo essere, è entrato in possesso dei più intimi, anche se inconsci, segreti più grandi del cercatore Flood o del massone Bacon. Ne ‘La Tempesta’ sono dati misteri più intimi che in tutto il Diluvio, e sono lì espressi con la massima bellezza, perché hanno il sigillo di Dio nella Materia, un sigillo che è la Bellezza stessa”.

Il famoso baule dove sono stati ritrovati tutti i documenti inediti di Fernando Pessoa

Tra l’infinità di carte, circa 27.000 manoscritti, trovate nel baule dove Pessoa conservava tutto ciò che scriveva, come un gigantesco diario, è stato trovato un testo in cui, in modo un po’ teatrale e ironico, stabilisce un patto con un certo Jacob Satan, affermando per sé una regola di vita.

La sincerità di questo scritto è dimostrata dal suo modus vivendi ed è uno dei primi scritti occultisti.

È datata 2 ottobre 1907 e prende il nome da uno dei suoi eteronimi, Alexander Search; il poeta aveva allora 17 anni.

Si legge così:

“Patto tra Alessandro Cerca, da qualche parte dell’Inferno, con Giacobbe Satana, Maestro, ma non re, dello stesso luogo.

      1 - Non abbandonare o ritrattare mai il proposito di fare del bene all'umanità.

      2 - Non scrivere mai cose, sensuali o comunque cattive, che possano essere causa di danno e di offesa per chi le legge.

      3 - Non dimenticate mai, quando attaccate la religione in nome della verità, che la religione è solo sostituita dalla difficoltà e che il povero essere umano piange nell'oscurità.

      4 - Non dimenticare mai le sofferenze e le malattie degli uomini".

Il sentimento del divino, come presenza invisibile e sconosciuta, Dio, Cielo, Essere Interiore, Sé Divino, – che importanza hanno i nomi, poiché per ciò che è al di là della comprensione, i nomi sono sempre prigioni – inizia a cristallizzarsi in modo alchemico nel suo cuore. È un sentimento e un anelito puro, fatto di una fiamma pura, come il loto blu degli antichi egizi, non ancora contaminato dall’angoscia e dalla rottura interiore di aver tradito il proprio cammino: il Maestro inizia a profilarsi nella luce della sua Anima. Tra i suoi manoscritti, datati 1912, è stata trovata questa preghiera. Inizia così:

“Signore, che sei il cielo e la terra, che sei la vita e la morte!
Tu sei il sole, tu sei la luna e tu sei il vento!
Siete i nostri corpi e le nostre anime e il nostro amore è anche voi.
Dove non c’è nulla tu abiti e dove c’è tutto – (il tuo tempio) – qui c’è il tuo corpo”.

Copertina della rivista Eagle, primo numero

Sono gli anni del neopaganesimo per Pessoa, della Società Portoghese del Rinascimento e della rivista Águia. Tra forti crisi depressive e attività febbrili, nella sua anima nascevano e si esprimevano convinzioni e riconoscimenti che non sono di questa terra, ma di un cielo di ideali sublimi. Sa già e ha perfettamente chiaro a cosa serve la sua vita, a cosa serve, la sua anima è l’anima di un poeta e deve quindi abbellire, essere, come direbbero i Vangeli, il lievito del pane del mondo. Tra i suoi manoscritti ne è stato trovato uno datato in questo stesso anno 1907 che confessa:

“Ho pensato che,
se potessi portarli alla luce e dar loro vita,
avrebbe conferito una nuova leggerezza alle stelle,
nuova bellezza al mondo e più amore al cuore degli uomini”.

Il suo grande problema fu, in questi anni e per tutta la vita, un’ipersensibilità e un’instabilità psicologica che lui stesso avrebbe qualificato come “mancanza di volontà” e “isteroneuroastenia”.

Nel 1913 scrisse un poema esoterico, Gladium, che presto avrebbe incluso nella sua opera immortale, Mensagem, con il titolo Dom Fernando, infante del Portogallo. In essa il poeta scopre la sua anima giurata a un esercito celeste, cioè come cavaliere al servizio della volontà di Dio.

Libro del professor José Manuel Anes su Pessoa e l’esoterismo

Dio mi ha dato la sua spada, perché io possa fare
la sua guerra santa.
Mi ha fatto suo in onore e in disgrazia,
Nelle ore in cui passa un vento freddo

Sopra la terra fredda.
Mi appoggiò le mani sulle spalle e mi fece la fronte
La mia fronte con il suo sguardo;
E questa febbre dell’aldilà, che mi consuma

E questo desiderio di grandezza è il suo nome
Dentro di me pulsa.
E io vado, e la luce della spada alzata
Sul mio viso calmo.

Pieno di Dio, non temo ciò che verrà,
Perché, comunque vada, non sarà mai
Più grande della mia anima.

Pessoa si stava senza dubbio iniziando ai Misteri della Volontà e della Madre del Mondo. Nel 1914 scrisse, sotto il nome del suo eteronimo Alvaro de Campos, una delle più belle poesie mai scritte. Questa poesia fu pubblicata solo dopo la sua morte e Pessoa sembra evocare qui i mistici orfici che adoravano la Notte, madre di tutti i misteri, in inni appassionati:

Vieni, antica e identica Notte.
La Regina della Notte è nata detronizzata.
Notte identica all’interno al silenzio. Notte
Con le veloci stelle di paillettes
Sul vostro abito con frange Infinity.
(…)
Venite solennemente,
Solenne e pieno
Con un desiderio nascosto di singhiozzare,
Forse perché l’anima è grande e la vita piccola,
E tutti i gesti non lasciano il nostro corpo,
E noi arriviamo solo dove arriva il nostro braccio,
E noi vediamo solo fino a dove arriva il nostro sguardo.
(…)
Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
Vieni ad avvolgere la notte in un mantello bianco
Il mio cuore…
Sereno come una brezza nel pomeriggio leggero,
Tranquillamente con un gesto materno accarezza.
Con le stelle che brillano nelle tue mani
E la luna che misteriosamente maschera il tuo volto.
Tutti i suoni hanno un suono diverso
Quando vieni.
Quando si entra, tutte le voci tacciono,
Nessuno ti vede entrare.
Nessuno sa quando si entra,
Se non all’improvviso, vedendo che tutto è stato ricordato,
Che tutto perde i suoi bordi e i suoi colori,
E che nel cielo ancora chiaramente blu
Già chiara mezzaluna, o cerchio bianco, o semplicemente nuova luce in arrivo,
La luna inizia a essere reale.

Nel 1915, una vera e propria rivoluzione spirituale e filosofica ebbe luogo in lui quando scoprì, “per caso”, le dottrine teosofiche e l’opera di H.P. Blavatsky. Per la prima volta si riunì con la propria anima e con tutto ciò che aveva desiderato. Traduce i testi teosofici La voce del silenzio, un trattato mistico che espone l’ideale del sacrificio e la Dottrina del Cuore del Buddismo Mahayana; Luce sul Sentiero, il libro dei Passi d’Oro per risvegliare il dio che dorme in ogni essere umano; Compendio di Teosofia, Aiutanti Invisibili, Chiaroveggenza, di C.W. Leadbeater; Gli ideali della Teosofia, Il mondo che verrà, Conferenze Teosofiche e Introduzione allo Yoga, tutti di Annie Besant. Ha studiato la Dottrina Segreta, Iside Svelata e i vari scritti di H.P. Blavatsky.

Uno dei libri tradotti da Fernando Pessoa, come si legge in copertina

L’effetto che queste opere e idee ebbero sulla sua anima è noto da una lettera che scrisse alla sua anima gemella, Mário de Sá Carneiro: “Fui scosso fino a un punto che consideravo impossibile, trattandosi di un sistema religioso. Il carattere estremamente ampio di questa filosofia-religione, l’idea di forza, di dominio, di conoscenza superiore e sovrumana che riassume le opere teosofiche, mi disturbavano completamente. Qualcosa di simile mi è capitato, molto tempo fa, con la lettura di un libro inglese sui Riti e i Misteri Rosa Croce. La possibilità che nella Teosofia si trovi la Vera Verità mi terrorizza. Non pensare che io sia pazzo. Credete che non lo sono. Si tratta di una grave crisi di uno spirito capace di avere questo tipo di crisi. Se si considera che la Teosofia è un sistema ultracristiano, nel senso che ha al suo interno i più alti principi cristiani fino a fondersi in non so cosa oltre Dio, e si pensa a ciò che è fondamentalmente incompatibile con il mio paganesimo essenziale, si troverà il primo serio elemento che ha causato la mia crisi. Se poi vedete che la Teosofia, in quanto ammette tutte le religioni, ha un carattere del tutto simile a quello del Paganesimo, che pure ammette nel suo Pantheon, troverete il secondo elemento della grave crisi dell’anima di cui soffro. La Teosofia mi fa paura a causa del suo mistero. È l’orrore e l’attrazione dell’abisso che si sente nel profondo dell’anima. Un timore metafisico, mio caro amico.

Tutto trema e scricchiola dentro e fuori; sua madre, vittima di un ictus, è emiplegica. Pessoa è disperato.

Quest’anno è anche l’anno dei due numeri della rivista Orpheu che, pur essendo un disastro economico, ha suscitato una profonda commozione nell’ambiente.

Statua di Fernando Pessoa nel quartiere Chiado di Lisbona

Nel 1916 iniziò il libro “Il ritorno degli dei: introduzione generale al neopaganesimo portoghese”, di cui attribuì la paternità al suo eteronimo António Mora.

La porta del tempio, la vera porta del Tempio, era aperta e la luce abbagliante e benefica inondò fortemente l’anima del poeta. Il destino e i suoi meriti stavano suggellando l’unione con il suo sognato Maestro. Cosa è successo? Nessuno lo sa e non sembra trovare riscontro nei suoi scritti tronchi. Come è accaduto con Herman Hesse e anche in questi stessi anni, qualcosa si è rotto. Oppure era la sua stessa psiche, non sufficientemente potenziata, ad essere affascinata dalle luci ingannevoli dell’illusione, dai poteri psichici, dal fenomeno psichico, dall’uso lucrativo di scienze come l’astrologia, dalla pratica di cerimonie proibite. Si trattava forse della sua ingratitudine e ingiustizia nei confronti di H.P. Blavatsky e della Teosofia, nell’accettare senza un giudizio sereno tutta la spazzatura riversata su colui che aveva considerato il suo Maestro? Ingratitudine che ha aperto la porta del suo cuore al veleno mortale. Quel che è certo è che in questo periodo, dal 1917 al 1919, la sua anima era spezzata e ferita e non cercava più l’unione con l’Io divino, ma l’incoscienza e l’oblio. La sua anima è sommersa nell’ametafisica e l’unica cosa che desidera è il riposo, il riposo dall’eterna oscurità. Tuttavia, egli rimane fedele ai principi e alle nozioni di quello che è il vero spirito della vita. Sapeva, sapeva, e non poteva ingannare se stesso. L’unica possibilità era il riposo e, prima del mondo, l’ironia. Questa “inquietudine” che aveva inondato la sua anima fin da quando era molto giovane assumeva ora una dimensione fatale. Eppure, che anima aveva! Ancora in viaggio, quando torna su se stesso e riacquista la sua natura, quali accordi divini fa risuonare! Quanto divino, quanto immenso, quanto lezioso il suo dolore! Le sue poesie, che sono grida dell’anima, quando non sono mascherate da uno dei suoi eteronimi, arrivano come frecce dritte al cuore umano e al cuore divino, sono una preghiera permanente. E, pur negando e relativizzando tutto, continua a riconoscere che l’uomo che non crede in Dio, sentendolo, è un animale. Nei momenti di vera sincerità, solo davanti alla sua anima riconoscerà davanti al suo Maestro, al suo Dio, di aver fallito e che sarà necessario per lui riprovare, in un’altra vita. Come sono commoventi, come sono terribili questi versi!

Maestro, mio caro maestro!
Cuore del mio intellettuale e del mio corpo intero!
La vita della fonte della mia ispirazione!
Maestro, cosa ne è stato di te in questa forma di vita?

Non vi siete preoccupati né di morire né di vivere, né di voi né di niente.
Anima astratta e visiva fino all’osso,
Meravigliosa attenzione al mondo esterno che si moltiplica,
Rifugio dal desiderio di tutti gli antichi dei,
Spirito umano della madre terra,
Fiorisci al di sopra del diluvio dell’intelligenza soggettiva…

Maestro, mio maestro!
Nell’angoscia sensazionalista di tutti i giorni sentiti
Nel dolore quotidiano della matematica dell’essere
Io, schiavo di tutto come polvere di tutti i venti
Alzo le mani verso di voi, che siete lontani, così lontani da me!

Il mio maestro e la mia guida!
Che nessuna cosa ha ferito, né ferisce, né turba,
Sicuro come un sole che fa la sua giornata senza volerlo,
Naturale come un giorno che mostra tutto,
Mio maestro, il mio cuore non ha imparato la tua serenità.
Il mio cuore non ha imparato nulla.
Il mio cuore non è nulla,
Il mio cuore è perso.

Maestro, sarei come te solo se fossi stato te.
Com’è triste la grande ora gioiosa in cui ti ho ascoltato per la prima volta!
Allora tutto è stanchezza in questo mondo dove le cose sono ricercate,
Tutto è una menzogna in questo mondo in cui le cose sono pensate,
Tutto è un’altra cosa in questo mondo in cui tutto si sente.
Allora sono stato come un mendicante lasciato all’aperto
Dall’indifferenza dell’intero villaggio.
Poi sono stato come le erbe estirpate
Lasciati a grappoli in allineamenti insensati.
Allora ero io, sì io, per la mia sfortuna,
E io, nella mia sfortuna, non sono né io né nessun altro
Allora, ma perché mi hai insegnato la chiarezza della vista,
Se non potessi insegnarmi ad avere l’anima per vedere chiaro?
Perché mi hai chiamato in cima alle montagne
Se io, figlio delle città di valle, non potessi respirare?
Perché mi hai dato la tua anima se non sapevo cosa farne?
Come uno carico d’oro in un deserto.
O canta con voce divina tra le rovine?
Perché mi avete risvegliato al sentimento e alla nuova anima
Se non saprò come sentirmi, se la mia anima sarà per sempre mia?

Momenti terribili, vissuti in questi anni. Nel 1916, la sua anima gemella Sá Carneiro cede alla tentazione del suicidio e il nostro poeta si perde nella più profonda solitudine. Piangerà la sua morte con questi versi:

Non più, non più, e da quando sei partito
Da questa prigione chiusa che è il mondo
Il mio cuore è inerte e infruttuoso
E quello che sono è un sogno triste.

Sappiamo cosa accadde in seguito in una lettera che inviò alla zia Anica, anch’essa immersa negli studi occulti. Pessoa sostiene di aver risvegliato la visione eterica e astrale, di aver compiuto fenomeni medianici e di scrittura automatica. “La visione astrale è molto imperfetta. Ma a volte, di notte, chiudo gli occhi e c’è una successione di piccole immagini, molto veloci, molto chiare (chiare come qualsiasi cosa nel mondo esterno). Ci sono strane figure, disegni, segni simbolici, numeri (ho visto anche dei numeri). (…) Inoltre, il sorgere stesso di queste facoltà è accompagnato da un misterioso sentimento di isolamento e di abbandono che riempie di amarezza le profondità dell’anima. Alla fine, sarà quello che deve essere”.

Si gettò nello studio delle scienze occulte ed entrò nel Labirinto, in quella che il libro La Voce del Silenzio chiamava la “Seconda Sala”, la Sala dell’Apprendimento dove l’anima trova i fiori della vita, ma trova dietro ogni fiore un serpente nascosto. Il luogo di transito dell’anima dove non dobbiamo cercare un Maestro dell’inganno e dove dobbiamo passare con rapidità e concentrazione per non cadere sotto il fascino delle sue luci ingannevoli.

La carta astrale di Fernando Pessoa, realizzata da lui stesso

La sua penetrazione e assimilazione delle idee è tale che può padroneggiare i sistemi completi dopo mesi di studio, e così porta avanti studi di Cabala, Alchimia, Astrologia, Mistica, Mitologia, Magia Cerimoniale, Matematica e Geometria Sacra, Simbologia, Ermetismo, Gnosi, Massoneria e Filosofia e Rituale delle Croci Rosse, diventando un vero specialista in ognuna delle materie.

Ma gli manca la guida del Maestro, il Filo di Arianna che gli permetterà di entrare e uscire da questo Labirinto in sicurezza e che gli consentirà di affrettare l’Anima e non solo le forme di queste Sacre Conoscenze. Che permette non solo di conoscere, ma anche di essere in grado di padroneggiare se stessi. Senza questa luce mistica, l’attrazione fatale per queste scienze può presto trasformarsi in rifiuto e persino in scetticismo.

Ascoltiamo Pessoa, nel suo Libro dell’inquietudine:

“Dallo studio della metafisica, (…) passai a occupazioni della mente più violente per l’equilibrio dei miei nervi. Passavo notti terrorizzate chino su volumi di mistici e cabalisti, che non avevo mai la pazienza di leggere del tutto, ma a intermittenza tremavo (…) I riti e le ragioni della Rosa Croce, la simbolica (…) della Cabala e dei Templari (…) Ho sofferto per un certo tempo l’avvicinarsi di tutto questo. E riempiva la febbre dei miei giorni le speculazioni velenose, la ragione demoniaca del metafisico – la magia (…), l’alchimia – estraendo un falso stimolo vitale dalla sensazione dolorosa e preveggente di essere come sempre sul punto di conoscere un mistero supremo”.

In una delle poesie della croce rosa inedite in vita – cioè una confessione della propria anima – esprime le condizioni che deve avere chi si avvia su questo sentiero invisibile e, contraddittoriamente, descrive anche la situazione in cui si trova, perso e senza meta nel labirinto; il Labirinto della Sala dell’Apprendimento che abbiamo studiato nel trattato mistico La voce del silenzio. Che contraddizione tra ciò che sa e sente dentro di sé e il disorientamento in cui vive e cammina la sua anima! La poesia è datata 24 agosto 1933 e abbiamo scelto questi due frammenti:

Quanti, con lungo studio e fedele volontà,

Copertina del libro dell’inquietudine

Cercate di percorrere i sentieri del Potere,
Senza provare una sola verità,
Senza che lo spirito invocato appaia,
Senza dominarlo, se appare,
Senza sentirsi, come me, al di sopra delle loro teste,
La corona dei magi – ah, ma quella,
Se è di gloria in chiaro splendore,
È di spine nel senso più profondo del termine.

E il secondo frammento della stessa poesia:

Ho visto gli angeli, ho toccato gli angeli, ma non conosco
Se gli angeli esistono. Così mi sono trovato alla fine
Su quella strada da cui sono tornato
E ho visto che non mi lascerà mai.

Né sappiamo, nella terribile e densa oscurità che circonda l’aspirante quando la porta del Tempio è chiusa, quali altri “Maestri”, fuori dal Tempio, abbia incontrato. Evidentemente non erano quelli gentili e compassionevoli che appaiono nelle lettere di H.P. Blavatsky. Altri… Tali sono profilati nella lettera di Pessoa all’amata Ofelia, alla quale scrive dopo pochi mesi di relazione sentimentale, rompendo con lei nel novembre 1920.

“L’amore è passato… Il mio destino appartiene a un’altra Legge, di cui Ophelinha ignora l’esistenza, ed è sempre più subordinato all’obbedienza a Maestri che non permettono né perdonano…”.

Il mago Aleister Crowley

Nel dicembre del 1929 inizia una relazione epistolare con il mago Aleister Crowley, capo della Golden Dawn e poi della Thelema Magical Fraternity e conosciuto nei circoli occulti con il nome di “Maestro Therion”. Riceve da lui un libro e Pessoa traduce in portoghese il suo Inno a Pan. Nel settembre 1930 il mago visita Pessoa e provoca uno scandalo nella stampa quando scompare tra le rocce di Cascais. In dicembre, forse a seguito del rapporto con il mago, sulla rivista Presença appare una poesia esoterica di Pessoa, intitolata “O Último Sortilégio” (L’ultimo indovino). È una poesia terrificante, che riflette lo stato d’animo del poeta che, “apprendista di una strega”, è entrato nel regno della magia cerimoniale. Dice che, dopo aver compiuto le evocazioni magiche e sentendosi in fratellanza con tutte le potenze della natura, ora si trova nudo e solo, la presenza della luce celeste non inonda la sua anima ed è quindi schiavo di dette forze che “nella sostanza delle cose sono uguali”. Questa poesia è anche una preghiera affinché, in un’ultima magia – quella della morte – tutto il suo essere si disperda e rimanga solo la volontà che lo ha creato, la Volontà di Dio e Maestro interiore. Questa è forse una delle poesie più serenamente randagie di Pessoa, in cui viene descritto il suo rapporto con l’invisibile.

L’ultimo Sortilegio

Ho ripetuto il vecchio incantesimo,
E la grande Dea si negò ai miei occhi.
Ho ripetuto, nelle pause dell’ampio vento
Le preghiere la cui anima è un essere fecondo.
Niente che l’abisso mi abbia dato o che il cielo mi abbia mostrato.
Solo il vento ritorna dove sono tutto e solo,
E tutto dorme nel mondo confuso.

Un tempo il mio potere incantava i rovi
E la mia evocazione dalla terra sollevata
Presenze concentrate di coloro che spariscono
Dormire nelle forme naturali delle cose.
Una volta la mia voce stava accadendo.
Le fate e gli elfi, se chiamati, hanno visto,
E le foglie della foresta erano lucenti.

La mia bacchetta, con la quale di volontà
Ha parlato alle esistenze essenziali,
Non conosce più la mia realtà.
Se traccio il cerchio, non c’è nulla.
Il vento alieno mormora lamenti estinti,
E nella luce della luna che si alza oltre i boschetti
Non sono altro che il bosco o la strada.

Il dono con cui sono stato amato è scomparso.
Non divento più la forma e la fine della vita
A coloro che, in cerca di loro, mi hanno cercato.
Non più, spiaggia, il mare delle mie braccia mi sommerge.
Né mi vedo innalzato al sole accolto,
O, in un’estasi magica, perduta,
Al chiaro di luna, all’imboccatura della profonda caverna.

Già le sacre potenze infernali
Che, dormiente senza dèi o destino
La sostanza delle cose è uguale,
Non sentite la mia voce o i loro nomi,
La musica si è interrotta dal mio inno.
La mia rabbia astrale non è più divina
Il mio corpo-pensiero non è più un dio.

E le lontane divinità del pozzo di Atro,
Che così spesso, pallido, ho evocato
Con la rabbia dell’amore in agitazione,
Invocato oggi davanti a me.
Come, quando non li amavo, li chiamavo,
Ora che non amo, li ho, e so che
Che il mio essere venduto sarà consumato.

Ma tu, sole, il cui oro era la mia preda
Tu, luna, di cui ho convertito l’argento
Se non puoi più darmi questa bellezza
Che ho desiderato così spesso,
Almeno ho diviso il mio essere finito.
Il mio essere essenziale è perduto per voi,
Solo il mio corpo senza di me rimane anima ed essere!

Convertire la mia ultima magia
In una statua di me in un corpo vivente!
Non morire per quello che sono, ma per quello che mi sono fatto e sono stato,
Presenza anonima che bacia se stessa,
Carne del mio amore astratto e prigioniero,
Sia la morte di me in cui rivivo;
E come ero, non essendo nulla, così sono!

Di tutte queste correnti mistiche, dopo la Teosofia, quelle che hanno lasciato un’impronta più profonda nell’anima sono state le dottrine della Rosa-Croce e il loro individualismo mistico. E anche come iniziazione al sacro attraverso il linguaggio dei simboli, le dottrine massoniche e la loro allora diffusa proiezione pedagogica e sociale.

Poster per il 75° anniversario della pubblicazione del poema e del libro Mensagem

È negli ultimi anni, anni che possiamo definire di “nazionalismo magico”, che è stata “iniziata” la mascherata moderna ed emotiva dell’Ordine Templare del Portogallo, un tempo virile e mistico. Verso la fine del 1932, scrive una poesia che evoca il monaco cavaliere, il templare che vive nella sua anima. Sono reminiscenze di una vita precedente? Chi può dirlo? Quando nelle sue ultime ore di vita scrisse in inglese: “I know not what tomorrow will bring”, probabilmente non sapeva che la sua anima, liberata dalla prigione del corpo, avrebbe continuato a cavalcare nella notte, come fedele cavaliere del suo Signore, oltre la luce della vita, oltre le ombre della morte.

Dalla valle alla montagna,
dalla montagna alla collina,
Cavallo d’ombra,
Cavaliere monaco,
Per casa, per prato,
Per fattoria e per fontana,
Camminate alleati.

Dalla valle alla montagna,
Dalla montagna alla collina,
Cavallo d’ombra,
Cavaliere Monk,
Da scogliere nere,
Avanti e indietro,
Passeggiate segrete.

Dalla valle alla montagna
Dalla montagna alla collina,
Cavallo d’ombra,
cavaliere monaco,
Attraverso pianure deserte
Senza orizzonte,
Si va a piede libero.

Dalla valle alla montagna
Dalla montagna alla collina,
Cavallo d’ombra,
Cavaliere monaco
Per sentieri ripidi,
Su fiumi senza ponte,
Si cammina da soli.

Dalla valle alla montagna
Dalla montagna alla collina,
Cavallo d’ombra,
cavaliere monaco,
Per quanto tempo è senza fine,
Senza nessuno che lo racconti,
Tu cammini in me.

Cercando forse Colui che ti ha consacrato, nell’onore e nella disgrazia, seguendo la luce di quella spada in alto, che hai dato prima, nel giuramento, sul tuo volto calmo.

Lapide con iscrizione e massima di Fernando Pessoa: “La mia patria è la lingua portoghese”.

José Carlos Fernández
Direttore nazionale di Nuova Acropoli

Storia e cultura portoghese, José Carlos Fernández

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