Come my friends, it’s not too late
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Alfred Tennyson
Alfred Tennyson, primo Barone Tennyson (Somersby, 6 agosto 1809 – Haslemere, 6 ottobre 1892), è stato un poeta inglese, laureato del Regno Unito, nonché uno dei più famosi del suo Paese.
La maggior parte dei suoi versi furono ispirati a temi classici o mitologici, anche se la celebre In Memoriam fu scritta per commemorare il suo migliore amico Arthur Hallam, anch’egli poeta e suo compagno di corso al Trinity College di Cambridge, che si era fidanzato con sua sorella ma era improvvisamente morto nel 1833 a causa di un’emorragia cerebrale.
Tra le opere più famose di Tennyson sono gli Idilli del re (Idylls of the King, 1885), una raccolta di poemetti interamente ispirati alla figura di Re Artù e al ciclo bretone e basati sui romanzi quattrocenteschi di Sir Thomas Malory. L’opera fu dedicata al Principe Alberto, marito della regina Vittoria. Nel corso della sua carriera Lord Tennyson si cimentò anche nella composizione di drammi teatrali, ma in questo campo i suoi lavori riscossero uno scarso successo.
Serve a poco che un re ozioso, In questo spento focolare, presso queste sterili rupi, Consorte una donna anziana, io misuro e ripartisco Imparziali leggi a una stirpe selvaggia, Che ammucchia, e dorme, e si nutre, e non mi conosce. Non posso fare a meno di viaggiare: berrò Ogni goccia della vita: tutto il tempo ho assaporato Molto, molto ho sofferto, sia con coloro Che mi amavano, che solo, sulla riva, e quando Con tumultuose correnti le piovose Iadi Agitavano l’oscuro mare: io son diventato un nome; Per aver sempre vagato con cuore affamato Molto vidi e conobbi; città d’uomini E costumi, climi, consigli, governi, E non di meno me stesso, ma onorato da tutti; E assaporai il piacere della battaglia coi miei pari, Lontano sulle risonanti pianure della ventosa Troia. Io son parte di tutto ciò ch’incontrai; Eppure ancor tutta l’esperienza è un arco attraverso cui Brilla quel mondo inesplorato i cui confini sbiadiscono Per sempre e per sempre quando mi muovo. Com’è sciocco fermarsi, finire, Arrugginire non lucidati, non brillare nell’uso! Come se respirare fosse vivere! Vita ammucchiata su vita Sarebbero tutte troppo poco, e di una sola a me Poco rimane: ma ogni ora è salva Da quell’eterno silenzio, qualcosa di più, Un portatore di cose nuove; e vile sarebbe Per tre soli anni ammucchiare e accumulare io stesso, E questo grigio spirito bramare nel desiderio Di seguire la conoscenza come una stella cadente, Oltre il limite più estremo dell’umano pensiero. Questi è mio figlio, il mio caro Telemaco, Al quale io consegno lo scettro e l’isola – Da me molto amata, che discerne come adempiere Questo lavoro, con lenta prudenza per addolcire Un popolo rozzo, e attraverso soffici gradi Sottometterli all’utile e al bene. Egli è il più irreprensibile, concentrato nella sfera Dei comuni doveri, conveniente a non cadere In funzioni di fragilità, e pagare Confacenti preghiere agli dèi della mia casa, Quando sarò partito. Egli fa il suo lavoro, io il mio. Lì giace il porto; il vascello gonfia la sua vela: Là si oscurano i neri, estesi mari. Miei marinai, Anime che hanno faticato, e lavorato, e pensato con me – Che sempre con un allegro benvenuto accolsero Il tuono e la luce del sole, e opposero Cuori liberi, menti libere – voi ed io siamo vecchi; La vecchia età ha ancora il suo onore e la sua fatica; La morte chiude tutto: ma qualcosa prima della fine, Qualche lavoro di nobile natura, può ancora essere fatto, Uomini non sconvenienti che combattevano contro gli Dèi. La luce comincia a scintillare dalle rocce: Il lungo giorno affievolisce: la lenta luna si innalza: il mare profondo Geme attorno con molte voci. Venite, amici miei, Non è troppo tardi per cercare un mondo più nuovo. Spingetevi al largo, e sedendo bene in ordine percuotete I sonori solchi; perché il mio scopo consiste Nel navigare oltre il tramonto, e i bagni Di tutte le stelle occidentali, finché io muoia. Potrebbe succedere che gli abissi ci inghiottiranno: Potremmo forse toccare le isole felici, E vedere il grande Achille, che noi conoscemmo. Anche se molto è stato preso, molto aspetta; e anche se Noi non siamo ora quella forza che in giorni antichi Mosse terra e cieli, ciò che siamo, siamo; Un’eguale indole di eroici cuori, Fiaccati dal tempo e dal fato, ma forti nella volontà Di combattere, cercare, trovare, e di non cedere.
https://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Malory